martedì 3 novembre 2009

La Corte di Strasburgo dice No al crocifisso, ma l'Italia farà ricorso


La vicenda relativa all'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche - sulla quale è arrivato oggi il no all'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo - risale al 2002 ed ha avuto un lungo iter giudiziario.
IL FATTO - Il 27 maggio 2002 il Consiglio di Istituto della scuola Vittorino da Feltre di Abano Terme (Padova) respinge il ricorso della famiglia di due alunne e decide che possono essere lasciati esposti negli ambienti scolastici i simboli religiosi, ed in particolare il crocifisso, unico simbolo esposto.
IL RICORSO - La decisione del Consiglio di Istituto viene impugnata dalla madre delle due alunne davanti al Tar per il Veneto. Nel ricorso si sostiene che la decisione del Consiglio di Istituto sarebbe stata presa in violazione del principio di laicità dello Stato, che impedirebbe l'esposizione del crocifisso e di altri simboli religiosi nelle aule scolastiche, perché violerebbe la "parità che deve essere garantita a tutte le religioni e a tutte le credenze, anche a-religiose".
LA POSIZIONE DEL MINISTERO - Il Ministero dell'Istruzione, costituitosi nel giudizio, sottolinea che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche è prevista da disposizioni regolamentari contenute in due regi decreti: uno del 1924, n. 965; l'altro del 1928, n. 1297 Tali norme, per quanto lontane nel tempo, sarebbero tuttora in vigore, come confermato dal parere reso dal Consiglio di Stato (n. 63/88).
LA PRIMA DECISIONE DEL TAR, ATTI ALLA CONSULTA - Il Tar compie un approfondito esame delle norme regolamentari sull'esposizione del crocifisso a scuola e conclude che esse sono tuttora in vigore. Estende, tuttavia, l'esame alla valutazione di altri profili della vicenda e rimette gli atti alla Corte costituzionale. La norma che prescrive l'obbligo di esposizione del crocifisso - scrivono i giudici - sembra delineare "una disciplina di favore per la religione cristiana, rispetto alle altre confessioni, attribuendole una posizione di privilegio", che apparirebbe in contrasto con il principio di laicità dello Stato.
LA CORTE COSTITUZIONALE, RICORSO INAMMISSIBILE - La consulta dichiara inammissibile il ricorso: le norme sull'esposizione del crocifisso a scuola sono "norme regolamentari", prive "di forza di legge" e su di esse "non può essere invocato un sindacato di legittimità costituzionale, né, conseguentemente, un intervento interpretativo" della Corte. Gli atti tornano al Tar per la decisione sul ricorso.
SECONDA DECISIONE TAR, CROCE NON CONTRASTA CON LAICITA' - Il crocifisso, "inteso come simbolo di una particolare storia, cultura ed identità nazionale (...), oltre che espressione di alcuni principi laici della comunità (...), può essere legittimamente collocato nelle aule della scuola pubblica, in quanto non solo non contrastante ma addirittura affermativo e confermativo del principio della laicità dello Stato repubblicano". Si conclude con queste parole la sentenza (n. 1110 del 22 marzo 2005) con la quale il Tar rigetta il ricorso della madre della due alunne di Abano Terme
IL CONSIGLIO DI STATO, CROCIFISSO HA FUNZIONE EDUCATIVA - Il Consiglio di Stato chiude la parte italiana della vicenda, con il rigetto definitivo del ricorso della madre delle due alunne. Il crocifisso - scrivono i giudici - non va rimosso dalle aule scolastiche perché ha "una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni"; non è né una "suppellettile", né solo "un oggetto di culto", ma un simbolo "idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili" - tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, riguardo alla sua libertà, autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione - che hanno un'origine religiosa, ma "che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato".
CONSIDERAZIONI
In attesa di conoscere le motivazioni della Corte di Strasburgo, non ci si può esimere, in prima facie di constatare il tentativo di usare il diritto come grimaldello per scardinare la Fede dalla vita pubblica non solo italiana ma europea. Trattasi dunque di sentenza politica che non ha tenuto minimamente conto della pronuncia del Consiglio di Stato italiano, favorevole all'esposizione del crocifisso nelle scuole!

sabato 24 ottobre 2009

Contratto di Posteggio


Il contratto di posteggio è, de iure civili, concluso nel momento in cui l’autoveicolo viene immesso e lasciato nell'apposito spazio all'interno del parcheggio con il consenso del depositario. E’ sufficiente, quindi, il solo collocamento dell’autoveicolo nel parcheggio perché il contratto possa ritenersi concluso (Cass. civ. sez. III, 21 giugno 1993, n. 6866).
Il fine essenziale cui tende tale contratto è quello della conservazione della cosa, laddove l’obbligazione di custodire rappresenta la prestazione qualificatrice del contratto, tale da determinare il tipo di negoziale in cui il contratto stesso si sostanzia. Il primo dovere per il depositario è quello di provvedere alla custodia delle cose consegnate, infatti, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che la conclusione del contratto di parcheggio importa l’affidamento del veicolo al gestore con l’obbligo di custodirlo e di restituirlo nello stato in cui gli è stato consegnato (Cass., 23 agosto 1990, n. 8615; sul contratto di parcheggio vedansi le risalenti Cass. 12 febbraio 1952, n. 337 e 14 febbraio 1966, n. 459, nonché idd., 25 febbraio 1981, n. 1144, 2 marzo 1985, n. 1787, 3 dicembre 1990, n. 11568, 26 febbraio 2004, n. 3863 [cit. infra]; tra la giurisprudenza di merito, App. Milano, 30 maggio 2000, Pret. La Spezia, 1 agosto 1992, App. Milano, 29 giugno 1999 .
Degne di menzione, sul punto, le seguenti due sentenze di merito:
Pret. La Spezia, 1 agosto 1992: «Il titolare di un parcheggio custodito è tenuto a risarcire al cliente il danno subito dal suo veicolo durante il tempo in cui lo stesso è stato affidato alla sua custodia»;
App. Milano, 29 giugno 1999: «Il contratto di parcheggio di autovetture in autosili comporta, salva diversa volontà delle parti, l’affidamento del veicolo al gestore del parcheggio con l’obbligo di custodirlo e restituirlo nello stato in cui gli è stato consegnato».
I profili di cui ai precedenti citati sono stati approfonditi dalla S.C. nella sentenza 26 febbraio 2004, n. 3863, nella cui motivazione viene posta in particolare risalto la funzione economico – sociale del contratto di posteggio, deducendosi quanto segue:
- «. . . chi immette la propria auto in un’area di parcheggio recintata è interessato anche alla custodia del veicolo e non vuole soltanto disporre di uno spazio per lasciare l’auto;
- se così non fosse non vi sarebbe differenza con chi parcheggia l’auto in una strada o area pubblica;
- l’obbligazione principale del gestore del parcheggio è di custodire la vettura che l’automobilista immette nel parcheggio recintato, per evitare di lasciarla in luogo pubblico, con i rischi che conseguono alla mancanza di custodia. . .Il contratto che se ne ricava è del tipo di quelli nei quali all’offerta della prestazione di parcheggio corrisponde l’accettazione dell’utente, manifestata attraverso l’immissione dell’auto nell’area messa a disposizione. Dalla combinazione di questi fattori nasce il vincolo contrattuale il quale si realizza attraverso il contatto sociale. Nella realtà il fenomeno è frequente e trova la sua radice nelle condizioni di affollamento delle strade, nell’urgenza dell’automobilista di liberarsi del veicolo o in altre condizioni simili. Tutto ciò induce l’automobilista ad utilizzare strutture appositamente predisposte nelle aree adiacenti aeroporti, ospedali, supermercati e simili».
Com’è stato rilevato, una clausola che escluda la responsabilità del posteggiatore, configurerebbe sempre un atto limitativo delle obbligazioni tipiche del depositario, con la conseguenza che - ove contenuta in condizioni generali di contratto - deve considerarsi vessatoria, e perciò inefficace se non specificamente approvata per iscritto.
Ne discende l'irrilevanza di una manifestazione unilaterale di volontà del depositario che, a mezzo di cartelli esposti, declini la propria responsabilità sugli oggetti depositati (giur. costante, cfr. Cass. civ. 16.04.1993 n. 4540).
Ed ancora, sul punto, la recente Cass., Sez. III, sentenza 27 gennaio 2009 n. 1957, che qualifica inefficace, se non approvata per iscritto, la clausola, contenuta nelle condizioni generali di un contratto di parcheggio, con cui si prevede una limitazione o l’esclusione della responsabilità del custode. Ancora, nel caso preso in considerazione, la S.C. esclude valenza limitativa di responsabilità alla mera affissione di avvisi et similia contenenti declinatorie in capo ai gestori, salva, si ripete, la stipulazione per iscritto.
Ed infine, in una fattispecie di merito, Giudice di Pace di Salerno, Dott. Veronica La Mura, sentenza del 10/2/07:
“… Non ha alcuna rilevanza il fatto che, nel regolamento del parcheggio, contenuto nelle condizioni generali di contratto, venga esclusa la responsabilità da danni, dovendosi tale clausola essere considerata vessatoria e perciò inefficace, se non specificamente approvata. … All’ingresso delle aree di parcheggio gestite dalla **********S.p.A. vi sono dei cartelli che disciplinano la sosta tra cui: l’onere a carico degli utenti di accertare all’ingresso del parcheggio “la verifica dello stato dei veicoli al fine di constatarne l’integrità e /o eventuali danni”…. La conferma di tale normativa è la prova che il contratto della *********S.p.A. è vessatorio ed in violazione alle norme di cui agli artt. 1766 e 1768 c.c., che prevedono l’obbligatorietà di custodire il bene con la diligenza del buon padre di famiglia. L’obbligo principale, in capo al depositario, è quello di custodire la cosa e di riconsegnarla nello stato in cui è stata lasciata.”

venerdì 25 settembre 2009

Omicidio Romagnoli: 16 anni e 4 mesi per il lucerino Ricciardi


Si è concluso dopo circa un anno e mezzo il processo di primo grado con il rito abbreviato a carico di Franco Ricciardi - accusato dell’omicidio di Assunta Romagnolo avvenuto la sera del 30 gennaio 2008 davanti alla chiesa di San Giacomo di Lucera - e di suo padre Nicola, in un primo momento ritenuto responsabile di aver istigato il figlio a commettere l’efferato delitto con un coltello da cucina lungo 19 centimetri. La sentenza è arrivata intorno alle 15, dopo un’ora di camera di consiglio del giudice del tribunale di Lucera Carlo Chiariaco che ha inflitto al 28enne lucerino la pena di 16 anni e 4 mesi di reclusione, di fatto accogliendo in pieno la tesi accusatoria del pubblico ministero Pasquale De Luca che aveva chiesto 16 anni e 6 mesi, con la sola aggravante dei motivi abietti. Per il padre, invece, è arrivata l’assoluzione per il reato di istigazione, ma gli è stato riconosciuto quello di concorso in omicidio e una pena di un anno di libertà vigilata, ottenuta grazie alla sua condizione di incensurato. Il suo legale Aurelio Follieri aveva chiesto l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, attribuendo a una lunga serie di precedenti liti tra le famiglie abitanti la palazzina di Via Alfio Lepore una sorta di prologo dell’omicidio stesso, contesto peraltro confermato dallo stesso pubblico ministero che ha parlato di una “situazione esplosiva” nel condominio da cui sono partite querele incrociate tra i Ricciardi e una terza famiglia, con il successivo coinvolgimento dei Carrivale-Romagnolo. Tre invece sono gli anni di libertà vigilata assegnati a Franco Ricciardi in coda alla pena detentiva.
L’udienza di oggi in realtà è stata una vera e propria battaglia a colpi di termini e patologie psichiatriche tra accusa, difesa e parte civile, con le perizie del professor Felice Carabellese, docente di Psichiatria, Criminologia Clinica e Psicopatologia Forense dell’Università di Bari, che sono state il terreno di scontro tra le parti. L’esperto barese, infatti, è stato chiamato per ben due volte a esprimersi sulle condizioni mentali di Franco Ricciardi, emettendo una prima diagnosi che parlava di disturbi oligofrenici (insufficienza mentale) tale comunque da non pregiudicarne la sua imputabilità nel processo. In un secondo momento ha confermato la sua trattazione con l’aggiunta della presenza di un “tema delirante persecutorio associato a dei tratti di antisocialità”. Due altri psichiatri, che avevano visitato Ricciardi nella struttura detentiva di Taranto, dove è attualmente carcerato, avevano invece descritto una situazione mentale molto più grave. Da qui la richiesta dell’avvocato difensore Luigi Follieri di una nuova perizia collegiale, rigettata dal giudice, con il riconoscimento della incapacità di intendere e di volere e della semi infermità mentale.
Come sempre presente in aula al grande completo la famiglia Romagnolo, alla quale è stata riconosciuta anche una provvisionale di 250 mila euro, e che si è detta soddisfatta dell’esito del primo grado di giudizio. “La sentenza di oggi rappresenta il massimo di quanto potevamo ottenere in questo momento – ha commentato il legale di parte civile Giacomo Grasso – e siamo anche contenti perché il giudice ha riconosciuto le nostre tesi, non dando credito ai comportamenti del principale imputato che per noi restano delle simulazioni”. (Luceraweb)

lunedì 31 agosto 2009

FACEBOOK ed il codice penale


Quali reati possono configurarsi a mezzo Facebook?

Molti sono i comportamenti che potrebbero portare i soggetti che usano facebook ad incorrere in responsabilità penale. Per semplificare dividerei i comportamenti in due categorie a seconda della tipologia di reato che si potrebbe commettere:

a) Vi sono i reati commessi da chi sfrutta Facebook, le sue caratteristiche, per realizzare i propri intenti illeciti. Facebook è un pretesto nulla di più. In questa categoria vi rientrano ad esempio:

• l'invio di materiale pubblicitario non autorizzato (la c.d. attività di spamming) o la raccolta e l'utilizzo indebito di dati personali, attività espressamente vietate dal T.U. sulla privacy (d.lgs. n. 196 del 2003);

• l'utilizzo dei contatti per trasmettere volutamente virus informatici, punito dall'art. 615-quinquies;• l'utilizzo dei contatti per acquisire abusivamente codici di accesso per violare sistemi informatici (punito dall'art. 615-quater)

• lo scambio di immagini pedopornografiche che integra gli estremi del reato ad es. di cessione di materiale pedopornografico di cui all'art. 600-ter c.p.;

• inviare messaggi di propaganda politica di incitamento all'odio, alla discriminazione razziale, ecc. In questi casi Facebook è soltanto il pretesto per realizzare reati. Siamo nella patologia.

b) Nella seconda categoria, invece, vi rientrano i comportamenti di chi utilizza Facebook per la funzione che gli è propria, ossia quello di creare contatti tra gli utenti per facilitare la comunicazione e nel far questo, essenzialmente per superficialità, nel comunicare con il proprio gruppo di amici, va un po' al di là del lecito, ed entra nel terreno minato del diritto penale.Il reato più frequente, che si può verificare in questi casi, è quello di diffamazione. L'inserimento di frasi offensive, battute pesanti, notizie riservate la cui divulgazione provoca pregiudizi, foto denigratorie o comunque la cui pubblicazione ha ripercussioni negative, anche potenziali, sulla reputazione della persona ritratta possono integrare gli estremi del reato di diffamazione, punito dall'art. 595 c.p. Facciamo qualche esempio:

• sicuramente creare il gruppo "Quelli che odiano il datore di lavoro bastardo" oppure "Quelli a cui sta antipatica la bidella cretina" sono comportamenti che integrano gli estremi della diffamazione; le espressioni "bastardo" o "cretina" hanno una inequivoca carica offensiva;• ma lo è anche rivelare sulla propria o altrui bacheca che il collega di lavoro – non so – ha, ha una relazione extraconiugale con la segretaria;

• è diffamazione ad es. inserire la foto – come è accaduto – della propria ex fidanzata nuda o in atteggiamenti intimi.Particolare attenzione porterei alle foto, molto spesso accade che utenti di Facebook, in modo un po' troppo disinvolto, senza pensare minimamente alle conseguenze, inseriscano foto che ritraggano loro amici in situazioni imbarazzanti. Spesso ci si espone a responsabilità penali senza saperlo. Facciamo un esempio, per comprendere: si pensi all'amico, sposato, che, una sera, all'insaputa della moglie che si trova fuori città per lavoro, viene ritratto all'interno di un locale equivoco e malfamato con sottobraccio due ballerine, magari anche in evidente stato di alterazione alcolica. L'amico burlone utilizza la foto per farla vedere agli amici del gruppo di Facebook a cui i due appartengono e inserisce una frase del tipo: "quando il gatto non c'è i topi ballano…"Un tale comportamento è sicuramente diffamatorio. Non ci si può nemmeno difendere dicendo che comunque l'amico aveva consentito a che gli venisse scattata la foto. La Cassazione, anche recentemente, in un procedimento per diffamazione per pubblicazione di foto in un contesto lesivo della reputazione, ha precisato che il consenso ad essere ritratti non comporta il consenso a utilizzare le foto, soprattutto se tale utilizzo avviene in contesti che espongono il soggetto a lesioni della propria reputazione (.Si badi bene, affinché vi sia diffamazione è necessario:

a) la comunicazione con più persone, la giurisprudenza dice che sono sufficienti almeno due persone;Quindi non costituisce diffamazione il "pettegolezzo" riferito all'amico tramite messaggio privato, ma solo se pubblicato sulla bacheca, visibile a tutto il gruppo di amici o comunque a due o più persone. In difetto, senza la comunicazione con più persone, anche in tempi diversi, non c'è reato.
b) l'offesa deve essere rivolta a soggetto determinato o determinabile. Se si parla male di una persona senza far capire di chi si tratta non è reato. Ma per aversi diffamazione non è necessario mettere nome, cognome, generalità del diffamato: è sufficiente inserire riferimenti che consentano di rendere conoscibile la persona offesa o comunque attribuibile l'offesa ad una persona determinata.Il problema della determinabilità della persona offesa (si parla di pregiudiziale di determinatezza) si pone spesso con riferimento alle offese rivolte a categorie o gruppi di persone. In questi casi la sussistenza del reato dipende – così insegna un maestro del diritto penale quale il Prof. Enzo Musco – dall'ampiezza del gruppo a cui si rivolge l'offesa. Più è ampio e meno vi è il rischio di diffamazione, più è ristretto e più vi è probabilità di incorrere in reato. Facciamo qualche esempio:

• dire che gli avvocati di Grosseto sono tutti dei ladri espone il soggetto ad azione civile per il risarcimento del danno all'immagine da parte del Consiglio dell'ordine di Grosseto, ma non lo espone a responsabilità al reato di diffamazione, perché l'offesa non è rivolta ad un soggetto determinato, ma a una pluralità indistinta di soggetti. La categoria avvocati di Grosseto – siamo più di 500 – è talmente ampia che difficilmente si potrà dire l'offesa sia attribuibile ad una persona determinata;

• il ragazzo che su Facebook crea il gruppo quelli che odiano quegli s…… di professori della 3^ del liceo scientifico Pinco Pallino del paese Vattelapesca invece rischia di incorrere nel reato di diffamazione. È vero che l'offesa non è rivolta in specifico a nessuno dei soggetti, ma comunque il gruppo è talmente ristretto che l'offesa (la parola s…..) è tale da ledere la reputazione di ogni singolo docente.

2) La diffamazione è semplice o aggravata? Tenere un comportamento diffamatorio su internet integra gli estremi della diffamazione aggravata dall'art. 595 comma 3 che punisce in modo più pesante il reato commesso con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. La Cassazione dice che internet è sicuramente un mezzo di pubblicità. La pronuncia del 2008 si riferiva ad una denuncia pubblicata su un sito web accessibile a tutti gli utenti della rete.Con riferimento a Facebook o a social network analoghi, la Cassazione non si è ancora pronunciata. Se ne potrebbe discutere, visto che le comunicazioni (ad es. quelle sulle bacheche) non sono visibili a tutti, ma solo al gruppo di amici cui appartiene il soggetto titolare della bacheca. Secondo me bisogna verificare caso per caso e tenere presente:

• che il gruppo di amici comunque non è chiuso, ma normalmente è aperto. Al gruppo possono accedere dei nuovi amici, questo potrebbe essere sufficiente a poter qualificare come mezzo di pubblicità in quanto l'offesa rischia di venir percepita da un numero indeterminato e indeterminabile di soggetti;• il numero di appartenenti al gruppo (tra l'altro si ritiene recata con mezzo di pubblicità una circolare indirizzata a un numero rilevante di persone: v. F. Mantovani, Delitti contro la persona, Padova, 2008, p.): si pensi a quello che ha, come spesso accade, centinaia di amici, ciascuno dei quali può accedere al mezzo.Tendenzialmente l'offesa su Facebook è aggravata dalla realizzazione della medesima con mezzo pubblicitario, a meno che nel caso concreto non risulti il contrario (ad es. se risulta che il gruppo di amici è molto limitato e sostanzialmente chiuso). 3) Quali conseguenze ne derivano? Penalmente le conseguenze sono diverse a seconda se sia ravvisabile o meno l'aggravante del mezzo di pubblicità.Se è ravvisabile l'aggravante il reato viene giudicato dal Tribunale e le pene sono più severe (anche con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni) e il casellario giudiziale (la c.d. fedina penale) rimane macchiato a tempo indeterminato.Se non lo è, invece, sarà il giudice di pace a pronunciarsi e le pene più modeste: 99/100 consistono in modeste pene pecuniarie (intorno ai 1.000 – 1.500 euro) e la fedina penale resterà macchiata solo per 5 anni (trascorsi i quali, se non sono commessi altre reati, ritorna immacolata).Il vero problema non è però rappresentato tanto dalla pena (quella del giudice di pace è modesta, quella del tribunale il più delle volte viene condizionalmente sospesa), ma dai costi connessi al procedimento penale che più o meno sono gli stessi sia in tribunale che dal giudice di pace. In caso di condanna occorre infatti:• pagare il legale della parte civile, secondo la liquidazione effettuata dal giudice, circa 2.000/2.500 euro;• pagare il proprio legale, secondo le pattuizioni con il medesimo (altrettanto se non di più rispetto a quello della parte civile);• il risarcimento dei danni provocati alla parte lesa (diversamente quantificabili a seconda dell'entità dei medesimi).Per una sciocchezza, si rischia di dover sborsare 10.000 euro senza nemmeno accorgersene.

4) Come si quantifica il danno? Il danno non è facilmente quantificabile. Non vi sono dei criteri oggettivi. Non si può quantificare con esattezza come quando si provoca un danno ad un'auto, per i quali vi sono dei precisi criteri di determinazione. In questo caso l'individuazione dell'entità viene rimessa – si dice – alla valutazione equitativa del giudice. Una formula un po' fumosa che rimette la quantificazione del danno alla sensibilità e alla discrezionalità del giudice.Per far capire, però, prendo ad esempio di un mio recente caso di un mio cliente, italiano di origine somala che è stato offeso da un altro soggetto e qualificato in termini dispregiativi extracomunitario. In questi casi si parla di ingiuria, reato meno grave della diffamazione. Il giudice ha liquidato 5.000 di risarcimento danno.Si pensi al caso di prima del marito fedigrafo che per questo comportamento viene lasciato dalla moglie oppure subisce l'allontanamento dalla famiglia della moglie. In questi casi si potrebbero anche chiedere decine di migliaia di euro.5) Ed i minori? Per i minori il discorso è diverso. Questi verrebbero processati dal tribunale dei minorenni nel quale non vi è possibilità di costituirsi parte civile, chiedere il risarcimento. Il diritto minorile prevede una serie di strumenti giuridici per concludere il procedimento senza condanna (perdono giudiziale, improcedibilità dell'azione per particolare tenuità del fatto). Nei casi meno gravi normalmente tutto si chiude con una "tirata di orecchi". La famiglia del minore si espone però al rischio di subire azione civile per il risarcimento del danno, per culpa in educando o in vigilando. Su questo punto è meglio che si pronunci un civilista.6) Come comportarsi? La vera "fregatura" del mezzo informatico è che tutto quello che si immette nella rete rimane visibile per lungo tempo, è visibile da molte persone (che poi a loro volta parlano) e di ciò che si scrive rimane spesso traccia facilmente documentabile.Questo porta:• a far sì che sia molto probabile che la persona presa di mira venga a conoscenza di essere bersaglio di offese e/o denigrazioni;• che è agevole per gli inquirenti risalire comunque all'autore della diffamazione.Il consiglio è di evitare di commettere reati, di evitare di usare frasi troppo colorite. Evitare di usare modi e tono in sé offensivi. Spesso non è ciò che si dice, ma come lo si dice che crea la diffamazione.Non so: invece di creare il Gruppo quelli che odiano il Prof. Tizio carogna, creare il gruppo Quelli a cui non sta troppo simpatico il Prof. Tizio che assomiglia al Prof. Martinelli (Giulio Faletti in notte prima degli esami) che appunto nel film chiamavano Carogna. È meno diretto il messaggio, ma è più simpatico e è più facile evitare un'accusa per diffamazione.Se proprio non si resiste alla tentazione di "parlare male", evitare di utilizzare la bacheca, ma comunicare via mail o messaggeria privata.7) Considerando il contesto in cui si sono sviluppati i social network e il loro utilizzo consuetudinario le offese possono essere valutate in maniera diversa, rispetto a quello che vengono valutate in altri contesti? Sicuramente è così. Ci sono maggiori margini per ironizzare (v. l'esempio di cui sopra). Tuttavia vi è comunque un limite: continenza. Le espressioni utilizzate non possono essere di per sé offensive, altrimenti si incorre comunque nel reato di diffamazione. Dare del bastardo ad uno (tranne i casi eccezionali) ha comunque una valenza offensiva. Va bene che ci sono più margini per ironizzare, ma è pur sempre necessario un limite alla volgarità e al turpiloquio.8) Personaggio pubblico. Il diritto alla riservatezza si atteggia diversamente a seconda che il personaggio sia pubblico o meno. Meno ampio nel primo caso, più ampio nel secondo. Questo si riverbera anche sulla configurabilità della diffamazione. Dire che avete visto il vostro amico l'altra sera in compagnia dell'amante e spargerlo ai quattro venti è diffamazione. Dire che avete visto l'attore di Hollywood in un ristorante insieme ad una bionda con la quale aveva atteggiamenti molto intimi e che non era con la moglie sposata il mese prima potrebbe non essere diffamazione.Ma non certo utilizzare espressioni con carica offensiva. Anche in questo caso il limite è la continenza. Non si possono utilizzare, nei confronti dei personaggi pubblici, espressioni dotate di alta carica offensiva.9) Cosa si rischia nel creare un account con falso nome? Frequentemente accade che su Facebook si creino account falsi. Non so recentemente è apparsa la notizia che su Facebook vi fosse un falso Alessandro Del Piero. In questi casi si rischia il reato di sostituzione di persona di cui all'art. 494 c.p. La Cassazione, nel 2007, ha ritenuto che integra tale reato il comportamento di chi crea un falso account di posta elettronica intrattenendo corrispondenze informatiche con altre persone spacciandosi per una persona diversa. Lo stesso può valere per face book. Ed allora un consiglio: datevi nomi di fantasia, che ne so Jessica Rabbitt o simili, non rubate l'identità alla collega del vostro marito per verificare se vostro marito prova sentimenti nei confronti di questa o se lui fa il "mollicone". Evitate di fingervi Del Piero o altro personaggio pubblico. È pur vero che per integrare il reato di cui all'art. 494 c.p. è necessario il fine di conseguire un vantaggio o recare un danno. Ma tali requisiti sono intesi in modo molto ampio, come non comprensivi solamente di vantaggi e/o danni di tipo economico ed è molto facile ravvisarli nei casi concreti.10) Ultimo consiglio: i dipendenti pubblici. Dipendenti pubblici state attenti, si rischia anche il reato di peculato. In una recente sentenza, ancorché un po' ambigua e non condivisibile, è stato messo in evidenza che risponde di peculato il dipendente pubblico che accede indebitamente a internet (non dunque per attività che a lui competono per il lavoro che svolge ), anche quando il contratto di erogazione del servizio stipulato dalla Pubblica amministrazione è un contratto a forfait (che prevede cioè un pagamento di una tariffa fissa indipendentemente dalla durata della navigazione). Infatti, anche se un tale comportamento non provoca alcuna lesione al patrimonio della Pubblica amministrazione è comunque tale da ledere l'altro bene giuridico tutelato dalla norma che punisce il peculato: il buon andamento della PA

giovedì 21 maggio 2009

Attenti al nome che date ai vostri figli....


E' ormai prassi consolidata chiamare il nascituro con nomi di fantasia, esotici o sostantivi, che fino ad un decennio fà, indicavano solo i neonati di sesso maschile.

Ma fino a dove può spingersi l'arbitrio dei genitori nella scelta del nome da dare ai figli?

In tale caso si può parlare di diritto potestativo o mera potestà?

***
Esaminiamo il Codice Civile e la Giurisprudenza recente

Il diritto al nome, in proposito, è oggetto di analisi da parte della giurisprudenza e della dottrina. I casi che si presentano all’attenzione dei giuristi nascono da un diritto primario dell’individuo, quello all’identità personale che è contemplato dal codice civile, agli artt. 6 e ss. Si afferma, innanzitutto, che «ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.
Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati».
L’art. 7, al contrario, prevede che «la persona, alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni. L'autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali».
Recentemente la giurisprudenza ha dovuto occuparsi del nome attribuito ad un figlio:
1) La prima pronuncia è quella della Corte d’Appello di Genova del 10 novembre 2007, che ha affermato il seguente principio: «il nome “Venerdì”, dato ad un bambino dai genitori, è ridicolo, in quanto è quello di un giorno della settimana, evocante oltretutto la sfortuna, ed inoltre è proprio di un personaggio letterario caratterizzato da sudditanza e inferiorità e pertanto, atteso il divieto di nomi ridicoli o vergognosi, ne va disposta la rettifica».
2)La seconda riguarda un decreto del Tribunale di Catanzaro del 14 aprile 2009.
Il Tribunale calabrese si è trovato dinanzi al caso di una bambina nata in Francia nel 2004 da genitori italiani, chiamata “Andrea”, nome che in Francia ha valenza femminile, la cui nascita era stata trascritta in Italia, con la seguente indicazione: “sesso femminile essendo, tuttavia, il suddetto nome di valenza maschile”. Sulla base della segnalazione del Comune, la Procura ha presentato istanza di rettificazione del nome al Tribunale competente, ai sensi dell’art. 95 D.P.R. 396/2000.
Nel decreto emanato, il Tribunale, riportando le disposizioni del D.P.R. 396/2000, ha ricordato che «il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso» (art. 35) ed «è vietato imporre al bambino nomi ridicoli o vergognosi» (art. 34).
Secondo il giudice, dal dettato di tali norme scaturisce il divieto di attribuire ad un nato di sesso femminile un nome che in Italia, secondo l’indice Istat, è proprio di un uomo. Il rischio, infatti, secondo la sentenza, è che l’identità della bambina potrebbe subire la derisione altrui.
Da ultimo, il Tribunale di Catanzaro ha inteso compiere una breve esegesi sulla legittimità della scelta del nome da parte dei genitori, intendendo essa non un diritto potestativo, bensì una mera potestà, la quale tuttavia è subordinata al rispetto di determinate condizioni: fermo restando il diritto al nome, infatti — previsto anche dall’art.7 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 — in primis, il nome identificativo non deve esporre il minore al ridicolo o alla vergogna; in secundis, il nome deve essere conforme al sesso del minore; tertium, il nome deve essere costitutivo dell’identità personale del minore.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Catanzaro ha accolto l’istanza della Procura della Repubblica, intimando di anteporre al nome “Andrea” un nome riconosciuto in Italia come femminile.

martedì 24 marzo 2009

Tempi duri per chi ingiuria e diffama via web


Così si pronunciò la Corte di Cassazione, il 10 MARZO 2009 con sentenza n. 10535/2009 : ai contenuti prodotti online dagli utenti come (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, chat...) non possono essere applicate le tradizionali leggi sulla stampa. Ergo è legittimo sia il sequestro di messaggi su forum e blog et simili, dai contenuti ingiuriosi e diffamatori, che la responsabilità penale dell’autore del post!
*** * ***
Le norme italiane sulla stampa non possono valere anche per i nuovi mezzi di comunicazione come forum e blog. Non sembra avere dubbi in proposito la Corte di Cassazione, che nella giornata di ieri ha respinto un ricorso presentato da una associazione dei consumatori contro il sequestro di alcuni messaggi di un suo forum online. Il nuovo pronunciamento della Corte potrebbe ora costituire un precedente nella delicata materia legata ai diritti, ai doveri e alle libertà di chi utilizza il Web.
Il Fatto:
Nel novembre del 2006, la Procura della Repubblica di Catania aveva disposto il sequestro del forum dell'Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) in seguito a una denuncia presentata da Mater Onlus, una associazione coordinata da don Fortunato di Noto.
Secondo gli autori dell'iniziativa legale, sul forum erano infatti comparsi alcuni messaggi ritenuti ingiuriosi e in violazione dell'articolo 403 c.p., che comprende il reato di "offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone".
Determinata a far valere i propri diritti contro un'azione ritenuta meramente di censura, l'Aduc aveva successivamente richiesto l'intervento del Tribunale del riesame di Catania, che aveva giudicato illegittimo il sequestro dell'intero forum. Il Pubblico Ministero aveva così disposto il mantenimento dei capi di accusa per tre soli utenti, autori dei nove messaggi sul forum per i quali era stato ravvisato il vilipendio. Per tutelare i suoi utenti, l'associazione dei consumatori aveva infine deciso di ricorrere in Cassazione e di presentare un'interrogazione parlamentare, passata per ora inascoltata.
A distanza di oltre due anni dall'inizio della querelle legale, ora la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del sequestro dei messaggi incriminati dal forum dell'Aduc, dando dunque ragione all'operato dei magistrati di Catania.
Per la Suprema Corte i nuovi mezzi di espressione, come forum e blog, non possono essere qualificati «come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica». La Corte prosegue poi sottolineando come i forum: «sono una semplice area di discussione dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa (come indicare un direttore responsabile per registrare la testata) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che la Costituzione riserva solo alla stampa».
La decisione della Cassazione apre nuovi dubbi sullo stato giuridico dei contenuti prodotti con i nuovi mezzi di comunicazione, oggetto ormai da tempo di numerose proposte di legge e di alcune sentenze.
La Corte sembra ora distinguere con maggiore nettezza tra testate editoriali regolarmente registrate e semplici siti di confronto online, che non possono dunque sottostare alle leggi concepite per la stampa. La sentenza sembra allontanare da forum e blog l'obbligo (ventilato da alcune proposte di legge) di effettuare una registrazione della testata e indicare un direttore responsabile, ma apre non pochi interrogativi sulla libertà di espressione degli utenti e sulle loro tutele in Rete.

…Il Testo della Sentenza
Corte di Cassazione - Sezione Terza - Sentenza del 10 marzo 2009, n. 10535

Svolgimento del processo
Con ordinanza 25 ottobre 2007 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania respinse la richiesta dell’Aduc di revoca del sequestro preventivo di alcune pagine web di sua proprietà disposto il 20.11.2007 in relazione al reato di cui all’art. 403 cod. pen.Il tribunale del riesame di Catania, con l’ordinanza in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello dell’Aduc, revocò il sequestro previa rimozione sul sito internet dell’Aduc delle espressioni e dei messaggi oggetto dei reati contestati, inibendone l’ulteriore diffusione.L’Aduc propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza dell’art. 21, comma 6, Cost. e illegittimità del sequestro preventivo poiché non attiene a reati contro il buon costume. Osserva che l’art. 21, comma 6, Cost. consente la limitazione dell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero nei soli casi di manifestazioni contrarie al buon costume.
2) inosservanza dell’art. 21, comma 6, Cost. e illegittimità del sequestro preventivo perché l’offesa ad una confessione religiosa non è contraria al buon costume.
3) erronea applicazione dell’art. 403 cod. pen. per erronea individuazione del bene giuridico protetto dalla norma. Osserva che, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, non c’è offesa se non vengono individuati i singoli individui, soggetti passivi della norma e portatori del bene giuridico da essa tutelato.
4) erronea applicazione dell’art. 21, comma 3, Cost. ed erronea individuazione dell’ambito applicativo del divieto di sequestro ivi previsto. Erronea interpretazione restrittiva del concetto di stampa che esclude l’informazione non ufficiale.

Motivi della decisione
Il primo motivo è inammissibile perché consiste in una censura nuova non dedotta con l’appello, e che non può quindi essere proposta per la prima volta in questa sede di legittimità. Il motivo è comunque manifestamente infondato perché l’art. 21, comma 6, Cost. vieta direttamente «le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume», disponendo altresì che «la legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni», ma non ha inteso dire che un comportamento, costituente manifestazione del pensiero, possa essere dalla legge vietato e previsto come reato esclusivamente quando sia contrario al buon costume, e non anche quando sia lesivo di altri beni ritenuti meritevoli di tutela, sebbene non lesivo del buon costume. Se così non fosse, del resto, dovrebbe ritenersi che i reati di ingiuria e diffamazione non sarebbero legittimi quando colpiscano comportamenti lesivi solo dell’onore e della reputazione delle persone, e non anche del buon costume.Per le stesse ragioni è inammissibile, sia perché nuovo sia perché manifestamente infondato, anche il secondo motivo. Con l’atto di appello, invero, non era stato dedotto che il sequestro in questione era illegittimo perché le frasi contestate non erano suscettibili di offendere il buon costume inteso come pudore sessuale della collettività. Né tale doglianza può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità solo perché l’ordinanza impugnata ha osservato che alcune delle frasi incriminate, oltre ad avere offeso la religione cattolica mediante il vilipendio dei suoi fedeli e dei suoi ministri, avevano travalicato i limiti del buon costume alludendo espressamente a pratiche pedofile dei sacerdoti per diffondere il «sacro seme del cattolicesimo». In ogni caso il motivo è manifestamente infondato perché l’art. 21, comma 6, Cost. non limita la possibilità della legge di prevedere, in caso di reato, il sequestro di cose che rappresentino manifestazioni del pensiero soltanto quando queste siano lesive del pudore sessuale.Il terzo motivo è infondato perché esattamente il tribunale del riesame ha ritenuto che per la configurabilità del reato di cui all’art. 403 cod. pen. non occorre che le espressioni di vilipendio debbano essere rivolte a fedeli ben determinati, ben potendo invece, come nella specie, essere genericamente riferite alla indistinta generalità dei fedeli. La norma invero protegge il sentimento religioso di per sé, sanzionando le pubbliche offese verso lo stesso attuate mediante vilipendio dei fedeli di una confessione religiosa o dei suoi ministri.Opportunamente, invero, l’ordinanza impugnata ha ricordato la sent. n. 188 del 1975 della Corte costituzionale, la quale affermò che «il sentimento religioso, quale vive nell’intimo della coscienza individuale e si estende anche a gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della professione di una fede comune, è da considerare tra i beni costituzionalmente rilevanti, come risulta coordinando gli artt. 2, 8 e 19 Cost., ed è indirettamente confermato anche dal primo comma dell’art. 3 e dall’art. 20. Perciò il vilipendio di una religione, tanto più se posto in essere attraverso il vilipendio di coloro che la professano o di un ministro del culto rispettivo, come nell’ipotesi dell’art. 403 cod. pen., che qui interessa, legittimamente può limitare l’ambito di operatività dell’art. 21: sempre che, beninteso, la figura della condotta vilipendiosa sia circoscritta entro i giusti confini, segnati, per un verso, dallo stesso significato etimologico della parola (che vuol dire “tenere a vile”, e quindi additare al pubblico disprezzo o dileggio), e per altro verso, dalla esigenza di rendere compatibile la tutela penale accordata al bene protetto dalla norma in questione con la più ampia libertà di manifestazione del proprio pensiero in materia religiosa», e che «il vilipendio, dunque, non si confonde né con la discussione su temi religiosi, così a livello scientifico come a livello divulgativo, né con la critica e la confutazione pur se vivacemente polemica; né con l’espressione di radicale dissenso da ogni concezione richiamantesi a valori religiosi trascendenti, in nome di ideologie immanentistiche o positivistiche od altre che siano. Sono, invece, vilipendio, e pertanto esclusi dalla garanzia dell’art. 21 (e dell’art. 19), la contumelia, lo scherno, l’offesa, per dir così, fine a sé stessa, che costituisce ad un tempo ingiuria al credente (e perciò lesione della sua personalità) e oltraggio ai valori etici di cui si sostanzia ed alimenta il fenomeno religioso, oggettivamente riguardato».D’altra parte, anche la recente sent. n. 168 del 2005 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 403 cod. pen. nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406 dello stesso codice) ha fatto espresso riferimento alle «esigenze costituzionali di eguale protezione del sentimento religioso che sottostanno alla equiparazione del trattamento sanzionatorio per le offese recate sia alla religione cattolica, sia alle altre confessioni religiose», ribadendo che tutte le norme contemplate dal capo dei delitti contro il sentimento religioso «si riferiscono al medesimo bene giuridico del sentimento religioso, che l’art. 403 cod. pen. tutela in caso di offese recate alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto».Del resto, anche qualora potesse accogliersi la tesi del ricorrente secondo cui il bene tutelato dalla norma non è il sentimento religioso ma la persona (fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente ad una determinata confessione religiosa, non si vedrebbe perché questa tesi dovrebbe comportare che, per aversi reato, il vilipendio dovrebbe rivolgersi verso determinate persone e non verso il gruppo indistinto dei fedeli di quella confessione religiosa nei cui confronti viene pubblicamente portata l’offesa.È infine infondato anche il quarto motivo. Va preliminarmente osservato che il tribunale del riesame ha revocato il sequestro del forum esistente nell’ambito del sito appartenente alla associazione ricorrente, lasciandolo esclusivamente sui singoli messaggi inviati da alcuni partecipanti al forum in questione, contenenti le frasi oggetto dei reati contestati.Ciò posto, il Collegio ritiene che esattamente il tribunale del riesame ha dichiarato che nel caso di specie non trova applicazione l’art. 21, comma 3, Cost., secondo cui «Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili», dato che la concreta fattispecie in esame non rientra nella più specifica disciplina della libertà di stampa, ma solo in quella più generale di libertà di manifestazione del proprio pensiero di cui all’art. 21, comma 1, Cost.Gli interventi dei partecipanti al forum in questione, invero, non possono essere fatti rientrare nell’ambito della nozione di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dall’art. 1 della legge 7 marzo 2001, n. 62, che ha esteso l’applicabilità delle disposizioni di cui all’ articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (legge sulla stampa) al «prodotto editoriale», stabilendo che per tale, ai fini della legge stessa, deve intendersi anche il «prodotto realizzato … su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico». Il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da coloro che si siano registrati nel forum, non fa sì che il forum stesso, che è assimilabile ad un gruppo di discussione, possa essere qualificato come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica. Si tratta quindi di una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole ed agli obblighi cui è soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un direttore responsabile o di registrazione) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l’art. 21, comma 3, Cost. riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero. D’altra parte, nel caso in esame, neppure si tratta di un forum strutturalmente inserito in una testata giornalistica diffusa per via telematica, di cui costituisca un elemento e su cui il direttore responsabile abbia la possibilità di esercitare il controllo (così come su ogni altra rubrica della testata).Acutamente il difensore del ricorrente sostiene che la norma costituzionale dovrebbe essere interpretata in senso evolutivo per adeguarla alle nuove tecnologie sopravvenute ed ai nuovi mezzi di espressione del libero pensiero. Ma da questo assunto, non può farsi derivare che i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell’art. 21, comma 3, Cost., prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi.In realtà i messaggi lasciati su un forum di discussione (che, a seconda dei casi, può essere aperto a tutti indistintamente, o a chiunque si registri con qualsiasi pseudonimo, o a chi si registri previa identificazione) sono equiparabili ai messaggi che potevano e possono essere lasciati in una bacheca (sita in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, o privato) e, così come quest’ultimi, anche i primi sono mezzi di comunicazione del proprio pensiero o anche mezzi di comunicazione di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dalla norma costituzionale.Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

giovedì 12 marzo 2009

Errori giudiziari: 5 innocenti al giorno finiscono agli arresti!



Si parla di ingiusta detenzione cautelare, vale a dire di quegli episodi in cui l’autorità giudiziaria, nella fase d’indagine dispone un arresto che poi si rivela per l’appunto illegittimo.
I numeri ufficiali sono impietosi.

Il ministero della Giustizia, ha calcolato che le cause di risarcimento che tali ingiustizie hanno originato in 5 anni, dal 2003 al 2007, sono state complessivamente 9.557 .
Cioè in in cinque anni è stato accertato l’arresto ingiusto di 10.000 persone!
Sempre in questo periodo lo Stato italiano ha dovuto sborsare in risarcimento per custodia cautelare illegittima la somma di € 206.000.000,00.
A cui bisogna aggiungere la cifra di € 7.000.000,00 che invece è stata riconosciuta a chi è stato processato e condannato ingiustamente.
In definitiva per un giorno di galera iniqua, lo Stato riconosce un indennizzo di € 235,83.
Mentre nel caso di arresti domiciliari, sempre imposti ingiustamente la cifra scende a € 117,91 al giorno.
A prescindere dai giorni di detenzione iniqua, lo Stato ha fissato un tetto massimo di risarcimento: poco più di € 500.000.
Tra le 27 Corti d’Appello italiche, la “maglia nera” dei procedimenti di riparazione per ingiusta detenzione, spetta a Napoli con 497 cause pendenti, mentre quella più virtuosa a Campobasso con 1 solo procedimento.
Nel dettaglio, i procedimenti pendenti presso le Corti, nel periodo 2003-07 sono:
1) CAMPOBASSO.n. 1
2) TRENTO..............3
3) BOLZANO............3
4) BRESCIA(4) *** 5) CAGLIARI(5)*** 6) TRIESTE(9)*** 7) SASSARI(17)*** 8) PERUGIA(20)*** 9) BOLOGNA(26)*** 10) ANCONA(29)*** 11) POTENZA(32)*** 12) GENOVA(36)*** 13) MILANO(38)*** 14) FIRENZE(41)*** 15) SALERNO(42)*** 16) L’AQUILA(47)*** 17) VENEZIA(50)*** 18) CALTANISSETTA(62)*** 19) PALERMO(69)*** 20) CATANIA(112)*** 21) ROMA(135)*** 22) MESSINA(144)*** 23) REGGIO CALABRIA(179)*** 24) LECCE(194)
25) CATANZARO..246
26) BARI...............382
27) NAPOLI..........497
dietro questi freddi numeri si nascondono: onorabilità, reputazioni e vite umane compromesse.
Il caso emblematico: l'arresto "spettacolo" del giornalista Enzo Tortora avvenuto negli anni '80.
Chi era Tortora?
Era un presentatore televisivo molto noto, molto quotato, un conduttore - come si dice oggi - da 28 milioni di telespettatori.
Finì, all’improvviso, in un tritacarne allestito dalla procura di Napoli sulla base di un manipolo di "pentiti" che prese ad accusarlo di reati ignobili: traffico di droga ed associazione mafiosa.
Con lui – prima che quell’operazione si sgonfiasse come un palloncino – finiranno nel tritacarne altre 855 persone.
Il suo arresto fu un evento mediatico.
Prima di trasferirlo in carcere i carabinieri lo ammanettano come il peggiore dei criminali e gli allestiscono una sorta di passerella davanti a fotografi ed operatori televisivi. L’Italia si spacca letteralmente in due tra innocentisti e colpevolisti. E la stampa, dichiaratamente forcaiola, riesce a dare il peggio di sé.
E’ la quasi estate del 1983. Comincia il "caso di Enzo Tortora", vittima sacrificale degli isterismi e dei pressappochismi dell’antimafia. Con Tortora la giustizia italiana fa un salto indietro di qualche secolo, coprendosi letteralmente di vergogna. Un gruppo di magistrati mostra i suoi lati più bui. Il presentatore televisivo viene tenuto in carcere per sette mesi, ottenendo appena tre colloqui con i suoi inquirenti. Gli indizi che lo accusavano sono debolissimi, praticamente inesistenti: oltre alle parole dei "pentiti", soltanto un’agendina trovata nell’abitazione di un camorrista. Un nome scritto a penna e un numero telefonico. Solo dopo lungo tempo si saprà che quel nome non era "Tortora", ma "Tortosa" e che il recapito del telefono non era quello del presentatore. Nel giugno del 1984 Enzo Tortora – nel frattempo divenuto il simbolo delle tragedie della giustizia italiana – viene eletto deputato europeo nelle liste dei radicali che ne sosterranno sempre le battaglie libertarie. Il 17 settembre 1985 (ad oltre due anni dall’arresto) Tortora viene condannato a dieci anni di galera. Nonostante l’evidenza, le accuse degli 11 "pentiti" (definiti da un giornale "la nazionale della menzogna") hanno retto al dibattimento. Con un gesto nobile, l’ormai ex divo della TV – protetto dall’immunità parlamentare - si consegna. Resterà agli arresti domiciliari. Il 15 settembre 1986 (a più di tre anni dall’inizio del suo dramma) Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla corte d’Appello di Napoli.Il 20 febbraio 1987 torna sugli schermi televisivi.Il 17 marzo 1988 Tortora viene definitivamente assolto dalla Cassazione.Il 18 maggio 1988, stroncato da un tumore, Enzo Tortora muore.
Resterà per sempre il simbolo di una giustizia ingiusta. Che di macroscopici errori, dopo di lui ne commetterà – purtroppo – ancora molti.

venerdì 20 febbraio 2009

Misure urgenti in materia di pubblica sicurezza e di contrasto alla violenza sessuale"

Si compone di 12 articoli con nuove norme e di un articolo per la copertura di spesa, il Decreto Legge 11/2009 varato dal consiglio dei ministri contenente "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e in tema di atti persecutori"
Queste, di seguito, le misure previste dal provvedimento.
*** * ***
CAPO I - Disposizioni in materia di violenza sessuale, esecuzione dell'espulsione e controllo del territorio

Articolo 1 (Modifiche al codice penale)
1 . All'articolo 576, primo comma, del codice penale, il n .5) è sostituito dal seguente:
" 5) in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli articoli 609- bis, 609- quater, 609- octies" ;

Articolo 2 (Modifiche al codice di procedura penale)
1 . Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 275, comma 3, le parole : «all'articolo 416-bis del codice penale o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo» sono sostituite dalle seguenti : «all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies, 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, 609-quater, commi primo, n . 2, secondo e quinto, e 609-octies del codice penale,»
b) all'articolo 380, comma 2, dopo la lettera d) è inserita la seguente: «d-bis) delitto di violenza sessuale previsto dall'articolo 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, e delitto di violenza sessuale di gruppo previsto dall'articolo 609-octies del codice penale»

Articolo 3 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n . 354)
1 . Al comma 1 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo periodo, dopo la parola : «600,» sono inserite le seguenti : «600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma,» e dopo la parola : «602» sono inserite le seguenti : «, 609-bis, escluso il caso previsto dal terzo comma, 609-ter, 609-quater, primo comma, 609-octies»;
b) al quarto periodo, le parole : «600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-octies» sono sostituite dalle seguenti : «600-bis, secondo e terzo comma, 600-ter, terzo comma, 600-quinquies e 609-quater, secondo comma» .

Articolo 4 (Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.).
1 . All'articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, dopo il comma 4-bis è aggiunto il seguente:
«4-ter. La persona offesa dai reati di cui agli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto» .

Articolo 5 (Esecuzione dell 'espulsione)
1. Al comma 5 dell'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n . 286, sono aggiunti in fine i seguenti periodi:
"Trascorso tale termine, in caso di mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento per un periodo ulteriore di sessanta giorni. Qualora persistano le condizioni di cui al periodo precedente il questore può chiedere al giudice una ulteriore proroga di sessanta giorni . Il periodo massimo complessivo di trattenimento non può essere superiore a centottanta giorni . Il questore, in ogni caso, può eseguire l'espulsione ed il respingimento anche prima della scadenza del termine prorogato, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace .".
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea anche se già trattenuti nei centri di identificazione e espulsione al momento dell'entrata in vigore del presente decreto .

Articolo 6 (Piano straordinario di controllo del territorio).
1. Al fine di predispone un piano straordinario di controllo del territorio, nell'art. 61, comma 22 del decreto legge 25 giugno 2008, n . 112 convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n . 133, che ha autorizzato le Forze di polizia ed il Corpo dei Vigili del Fuoco ad effettuare, in deroga alla normativa vigente, assunzioni entro il limite di spesa pari a 100 milioni di euro annui, le parole " con decreto del Presidente della Repubblica, da emanare entro il 30 aprile 2009", contenute nell'ultimo periodo dello stesso comma 22, sono sostituite dalle seguenti : "con decreto del Presidente della Repubblica, da adottarsi su proposta dei Ministri della Funzione pubblica, dell'interno e dell'economia e delle finanze, entro il 31 marzo 2009".
2. In attesa dell'adozione del decreto di cui al comma 6 dell'articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n . 181, e successive modificazioni, le risorse oggetto di confisca versate all'entrata del bilancio dello Stato successivamente all'entrata in vigore del predetto decreto-legge sono immediatamente riassegnate, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, nel limite di 100 milioni di euro, al fondo
per le esigenze correnti di funzionamento dei servizi dell'amministrazione di cui alla Missione Fondi da ripartire - Programma Fondi d'assegnare - cap 3001 del bilancio del Ministero dell'interno, per le urgenti necessità di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico.
3. I Sindaci possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati, previa intesa con il Prefetto che ne informa il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di segnalare agli organi di polizia locale, ovvero alle Forze di polizia dello Stato, eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale.
4. Le associazioni sono iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto . Con decreto del Ministro dell'interno, da emanare entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge, sono determinati gli ambiti operativi, i requisiti per l'iscrizione nell'elenco e sono disciplinate le modalità di tenuta dei relativi elenchi.
5. Per la tutela della sicurezza urbana, i comuni possono utilizzare sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico.
6. La conservazione dei dati, delle informazioni e delle immagini raccolte mediante l'uso di sistemi di videosorveglianza è limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione .

CAPO II - Disposizioni in materia di atti persecutori

Articolo 7 (Modifiche al codice penale)
1 . Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo l'articolo 612 è inserito il seguente:
«Art. 612-bis . - (Atti persecutori) . - Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi, o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa . Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n . 104, nonche' quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio»;
b) al primo comma dell'articolo 576, dopo il numero 5) è inserito il seguente:
«5 .1) dall'autore del delitto previsto dall'articolo 612-bis» .

Articolo 8. (Ammonimento)
1. Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all'articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 7 del presente decreto-legge, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta . La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.
2. Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti e' stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale . Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito . Il questore valuta l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.
3. La pena per il delitto di cui all'articolo 612-bis del codice penale è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo.
4. Si procede d'ufficio per il delitto previsto dall'articolo 612-bis del codice penale quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo .

Articolo 9. (Modifiche al codice di procedura penale)
1 . Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 266, comma 1, lettera f), dopo la parola: «minaccia,» sono inserite le seguenti : «atti persecutori,»;
b) dopo l'articolo 282-bis sono inseriti i seguenti:
«Art. 282-ter. - (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa).
- 1 . Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.
2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.
3 . Il giudice può, inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.
4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
Art. 282-quater . - (Obblighi di comunicazione) . - 1 . I provvedimenti di cui agli articoli 282-bis e 282-ter sono comunicati all'autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni . Essi sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio»;
c) ali' articolo 392, il comma 1-bis è sostituito dal seguente : «1-bis. Nei procedimenti per i delitti di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis, 600, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater .1, 600-quinquies,
601, 602, del codice penale il pubblico ministero, anche su richiesta della persona offesa, o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minorenne ovvero della persona offesa maggiorenne, anche al di fuori delle ipotesi previste dal comma l» ;
d) al comma 5-bis dell'articolo 398:
1) le parole : «e 609-octies» sono sostituite dalle seguenti : «, 609-octies e 612-bis»;
2) le parole : «vi siano minori di anni sedici» sono sostituite dalle seguenti : «vi siano minorenni»;
3) le parole: «quando le esigenze del minore» sono sostituite dalle seguenti : «quando le esigenze di tutela delle persone»;
4) le parole: «l'abitazione dello stesso minore» sono sostituite dalle seguenti : «l'abitazione della persona interessata all' assunzione della prova»;
e) al comma 4-ter dell'articolo 498:
1) le parole : «e 609-octies» sono sostituite dalle seguenti : «, 609-octies e 612-bis»;
2) dopo le parole: «l'esame del minore vittima del reato» sono inserite le seguenti : «ovvero del maggiorenne infermo di mente vittima del reato» .

Articolo 10 (Modifica all'articolo 342-ter del codice civile)
1 . All'articolo 342-ter, terzo comma, del codice civile, le parole : «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «un anno» .

Articolo 11 (Misure a sostegno delle vittime del reato di atti persecutori)
1 . Le forze dell'ordine, i presìdi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori, di cui all'articolo 612-bis del codice penale, introdotto dall'articolo 7 del presente decreto-legge, hanno l'obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio, e in particolare nella zona di residenza della vittima. Le forze dell'ordine, i presìdi sanitari e le istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta .

Articolo 12 (Numero verde)
1 . Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per le pari opportunità è istituito un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori, attivo ventiquattro ore su ventiquattro, con la finalità di fornire, nei limiti di spesa di cui al comma 2 dell'articolo 13, un servizio di prima assistenza psicologica e giuridica da parte di personale dotato delle adeguate competenze nonche' di comunicare prontamente, nei casi di urgenza e su richiesta della persona offesa, alle forze dell'ordine competenti gli atti persecutori segnalati .

CAPO III - Copertura finanziaria
Articolo 13
... omissis..

venerdì 13 febbraio 2009

Lutto nell'avvocatura del foro di Lucera





Una tragedia inspiegabile lascia attoniti e sconvolti l'intera avvocatura lucerina e la comunità di Vico del Gargano.


Gli Avv.ti Marco Maria Granieri (32 anni) e Raffaele Lanzetta (42 anni), hanno perso la vita nelle prime ore del mattino di oggi 13 Febbraio 2009 in un incidente stradale sull’ Autostrada A24 nel tratto Castel Madama- Tivoli;
Esprimiamo vicinanza ai loro familiari in questo momento di straordinario dolore.




venerdì 6 febbraio 2009

Nota sul diritto alla Vita nella Costituzione italiana



La vicenda della Englaro, così come quella del Welby pongono degli interrogativi che esigono delle risposte certe ed inequivocabili soprattutto da parte degli operatori del diritto.
Ossia esiste nel nostro ordinamento giuridico un inderogabile diritto all vita oppure questo diritto, in determinate condizioni umane (malattie terminali, coma...) può essere derogato con una semplice pronuncia del magistrato adito?
Per rispondere a tale quesito occorre partire dalla Legge fondamentale su cui si regge lo Stato italiano.
L'art. 2 Cost. così dispone:"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"
Il richiamo a questi "diritti inviolabili" ha la sua radice in una lunga tradizione storica e filosofica che si estende dal diritto naturale fino alla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo.
L’idea di fondo é che esistono dei diritti naturali, dei diritti, cioè, che appartengono per natura all’uomo e perciò precedono l’esistenza stessa dello Stato, che, dunque, non li crea, ma, appunto, li deve riconoscere e soprattutto garantire concretamente, specialmente attraverso le leggi ordinarie.
Detto in altri termini: il diritto positivo, l’insieme delle norme poste dallo Stato, deve conformarsi alle norme del diritto naturale che precedono qualsiasi legislazione positiva.
I diritti naturali, proprio in quanto costitutivi della natura umana, non sono legati ad una determinata cittadinanza (italiana piuttosto che francese, tedesca piuttosto che albanese, ecc.).
Non si tratta, dunque, di diritti del cittadino, ma di diritti dell’uomo.
Il riconoscimento é importantissimo perché obbliga la Repubblica Italiana a garantire a tutti, anche a coloro che non siano cittadini italiani, questi diritti fondamentali.
Quali?
Sul piano filosofico le risposte sono state le più diverse.
Sul piano politico e giuridico il riferimento fondamentale è certamente rappresentato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, a cui la Costituzione italiana fa riferimento quando parla di diritti inviolabili.
Essa all'art. 3 statuisce che: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona"
Da ciò discende che il diritto alla vita è incondizionato, inderogabile ed indisponibile.
Siffata enunciazione normativa pone quindi concretamente:
a) un limite al legislatore, il quale non può emanare norme che scalfiscano l'inviolabilità della vita umana;
b) un limite alla magistratura la quale non può, con sentenza, subordinare l'indisponibilità della vita umana al principio dell'autodeterminazione della persona (ognuno dispone della sua vita come crede!)
Vi è di più.
Secondo qualificata dottrina l'eutanasia, ossia la "morte ex lege" non potrebbe compiersi nemmeno con leggi di revisione costituzionale, atteso che queste leggi incontrano il limite di non poter modificare la forma repubblicana “a disegnare la quale si può dire concorre proprio il principio personalistico” che afferma il primato dell’uomo nei confronti dello Stato e lo colloca al centro dell’ordinamento giuridico (cfr. Palazzo, Delitti contro la persona, in Enciclopedia del Diritto – XXXIII, pagg. 298 e segg., Giuffrè Editore).
Pertanto si può concludere che qualora in Italia ci fossero leggi che regolassero l'eutanasia, queste sarebbero del tutto incostituzionali.
Nemmeno il principio di autodeterminazione personale (...se un giorno entrassi in coma vorrei che mi fosse staccato il respiratore...) potrebbe giustificare il ricorso alla "dolce morte" in quanto nella eutanasia, al contrario del suicidio, la decisione finale sulla morte è rimessa al terzo e non già all’interessato, e non si può quindi consentire che sia trasferita ad altri la disponibilità della vita umana (che peraltro non compete nemmeno alla Stato).

venerdì 30 gennaio 2009

Inaugurazione anno giudiziario:comunicato Camere Penali


Roma, 30 gen - L'Unione Camere Penali Italiane diserta per protesta la cerimonia ufficiale di apertura dell'Anno Giudiziario della Cassazione. ''L'Unione Camere Penali Italiane - si legge in una nota - ritiene che le consuete litanie della magistratura, anche quelle apparentemente dirette a stigmatizzare il protagonismo di alcuni magistrati, riflettano una chiusura corporativa sulle grandi riforme liberali e democratiche. Solo la terzieta' del giudice con la separazione delle carriere consentira' di evitare intercettazioni telefoniche autorizzate con leggerezza, arresti facili, ipervalutazioni delle iniziative della pubblica accusa. E' inutile - ritiene l'Unione Camere Penali Italiane - fare riforme legislative e reiterare ogni anno lamentele ormai rituali se non si pone mano al vero problema del sistema giudiziario italiano: la contiguita' culturale e ordinamentale tra le funzioni di chi giudica e di chi accusa''

giovedì 15 gennaio 2009

IMMIGRAZIONE CLANDESTINA: nel 2008 sono arrivati in 37.000



Sono 36.952 gli stranieri clandestini arrivati sulle coste italiane nel 2008.

Tra essi gli uomini sono 30.314, le donne 3.939 e i minori sono 2.708.

Nel 2007 i clandestini arrivati sulle coste del Bel Paese erano stati 20.455, di cui 16.993 uomini, 1.282 donne e 2.180 minori.

La maggior parte dei clandestini proviene dalla Tunisia (7.503), a seguire ci sono quelli provenienti da Nigeria (6.362), Somalia (5.258) ed Eritrea (3.942).
LA MAPPA DEGLI ARRIVI
DOVE SONO ARRIVATI Gli sbarchi in Italia nel 2008:
-PUGLIA-Sbarchi: 7-Uomini: 83-Donne: 4-Minori: 40-Totale: 127
-CALABRIA-Sbarchi: 11-Uomini: 485-Donne: 84-Minori: 94-Totale: 663
-SICILIA-Sbarchi: 537-Uomini: 28.180-Donne: 3.820-Minori: 2.541-Totale: 34.541
-SARDEGNA-Sbarchi: 110-Uomini: 1.566-Donne: 22-Minori: 33-Totale: 1.621
-A LAMPEDUSA Gli sbarchi nell'isola negli ultimi 4 anni
2005-Sbarchi: 154-Uomini: 13.557-Donne: 467-Minori: 831-Totale: 14.855

2006-Sbarchi: 341-Uomini: 16.213-Donne: 886-Minori: 997-Totale: 18.096

2007-Sbarchi: 270-Uomini: 9.759-Donne: 835-Minori: 1.155-Totale: 11.749

2008-Sbarchi: 397-Uomini: 24.810-Donne: 3.522-Minori: 2.325-Totale: 30.657
DA DOVE SONO PARTITI
-TUNISIA-Uomini: 7.254-Donne: 54-Minori: 195-Totale: 7.503

-NIGERIA-Uomini: 4.143-Donne: 1.899-Minori: 320-Totale: 6.362

-SOMALIA-Uomini: 4.162-Donne: 801-Minori: 295-Totale: 5.258

-ERITREA-Uomini: 2.977-Donne: 603-Minori: 362-Totale: 3.942

-EGITTO-Uomini: 1.320-Donne: 1-Minori: 936-Totale: 2.257

-ALGERIA-Uomini: 1.947-Donne: 29-Minori: 36-Totale: 2.012

-GHANA-Uomini: 1.769-Donne: 73-Minori: 153-Totale: 1.995

-MAROCCO-Uomini: 1.593-Donne: 151-Minori: 47-Totale: 1.791

-COSTA D'AVORIO-Uomini: 587-Donne: 3-Minori: 27-Totale: 617

-BURKINA FASO-Uomini: 497-Donne: 0-Minori: 29-Totale: 526

-INDIA-Uomini: 510-Donne: 0-Minori: 1-Totale: 511

-MALI-Uomini: 383-Donne: 1-Minori: 12-Totale: 396

-SUDAN-Uomini: 301-Donne: 57-Minori: 19-Totale: 377

-TOGO-Uomini: 314-Donne: 13-Minori: 42-Totale: 369

-BANGLADESH-Uomini: 343-Donne: 0-Minori: 13-Totale: 356
I CLANDESTINI SBARCATI NEGLI ULTIMI 2 ANNI
2007-Uomini: 16.993-Donne: 1.282-Minori: 2.180-TOTALE: 20.455

2008-Uomini: 30.314-Donne: 3.930-Minori: 2.708-TOTALE: 36.952
(Fonte: ministero dell'Interno)

martedì 13 gennaio 2009

il sen. Mancino al Tribunale di Lucera


Ieri mattina, il vicepresidente del CSM, sen. Nicola Mancino ha fatto visita al Tribunale di Lucera.
L’incontro, aperto non solo all’avvocatura del circondario, è avvenuto nell’aula della corte di assise verso le ore 11.00. Nell’occasione il senatore non si è sottratto alle sollecitazioni arrivate dagli esponenti del mondo giudiziario locale, tra cui il presidente dello stesso tribunale Giuseppe Pellegrino che ha evidenziato l’ormai cronica carenza di personale degli uffici giudiziari e la necessità di riforme strutturali della macchina organizzativa della Giustizia.
Su quest’ultimo tema, il vice presidente del CSM ha comunque sottolineato la necessità di una riforma della giustizia condivisa da tutte le forze politiche e dall’ANM (associazione nazionale magistrati), in grado di ridurre i tempi dei processi.
Mancino, si è detto infine contrario alla ipotesi di creare un doppio CSM, uno per i pubblici ministeri, l’altro per i magistrati giudicanti.
Il presidente dell’ordine degli avvocati di Lucera Giuseppe Agnusdei, durante il suo saluto, è tornato invece sull’istituzione della Corte di Appello a Foggia, argomento che è diventato ormai un cavallo di battaglia anche per l’avvocatura del capoluogo dauno, visto che entrambi da tempo reclamano una maggiore considerazione per la Capitanata anche su questo versante.
Qualche novità positiva, invece, è arrivata dalla procura diretta dal dott. Massimo Lucianetti, visto che da circa due settimane si è insediato il terzo pubblico ministero che affianca il dott. Pasquale De Luca e il dott. Fabio Buquicchio. Si tratta della dott.ssa Elisa Sabusco, figlia di Antonio attuale presidente del tribunale di Campobasso e magistrato che ha operato anche alla pretura di Foggia, proveniente dalla procura di Matera. Nonostante il rinforzo, Lucianetti ha comunque evidenziato che nel suo ufficio la pianta organica è mancante di altri due magistrati, sebbene i dati attuali parlino di un carico di soltanto 1.400 processi pendenti, a fronte di una media di 7.000 nuovi ogni anno.

sabato 10 gennaio 2009

Il danno da vacanza rovinata



-Vi è capitato di tornare da una vacanza lamentando un trattamento di qualità deludente?

-I depliant informativi si sono rivelati ingannevoli ed un soggiorno paradisiaco si è trasformato in un’esperienza da dimenticare a causa di ritardi, smarrimento di bagagli, intossicazioni alimentari, variazioni nei programmi di viaggio?


Il nostro ordinamento prevede una tutela per il consumatore che non abbia potuto godere della vacanza a causa di disservizi imputabili all'organizzatore del viaggio (il tour operator) o al venditore dello stesso (l'agenzia di viaggi).
Con il LGS 17- 3- 1995 D n° 111 l'Italia ha dato applicazione alla direttiva CEE n° 90/314 del 13-6-1990 concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti tutto compreso: tale normativa è un importantissimo strumento di tutela per in consumatore che ha acquistato un pacchetto turistico, cioè la vacanza "tutto compreso" risultanti dalla combinazione di almeno due degli elementi tra trasporto, alloggio, servizi turistici non accessori al trasporto o alloggio. Il contratto di vendita dei pacchetti turistici deve essere redatto in forma scritta in termini chiari e precisi ed al consumatore deve essere rilasciata una copia del contratto stipulato, sottoscritto o timbrato dal tour operator o dall' agenzia di viaggi.

Obblighi del tour operator o dell'agenzia di viaggi:

l'informazione Prima della conclusione del contratto, il tour operator o l'agenzia di viaggi devono fornire per iscritto informazioni di carattere generale concernenti le condizioni applicabili ai cittadini dello Stato membro dell'Unione Europea in materia di passaporto e visto, gli obblighi sanitari e le relative formalità per l' effettuazione del viaggio e del soggiorno. Prima dell' inizio del viaggio gli stessi soggetti devono comunicare al consumatore per iscritto tutte le informazioni necessarie circa orari, itinerari, generalità e recapiti dell' organizzatore o di eventuali suoi rappresentanti locali. E' comunque fatto divieto fornire informazioni ingannevoli sulle modalità del servizio offerto, sul prezzo e sugli altri elementi del contratto, qualunque sia il mezzo mediante il quale dette informazioni vengono comunicate al consumatore: opuscoli informativi, pubblicità alla radio o tv, sui giornali ecc.Tutte le informazioni riportate nei cataloghi ed opuscoli informativi sono vincolanti per il tour operator, ragion per cui il consumatore può denunciare eventuali difformità come un di vero e proprio inadempimento contrattuale.

Diritti del consumatore:

1) la cessione del contratto

Se il consumatore si trovi per qualsiasi causa (malattia, impegno improvviso) nell'impossibilità di usufruire del pacchetto turistico già comprato, può sostituire a sé un'altra persona che usufruirà del medesimo servizio turistico, comunicando per iscritto all'organizzatore o al venditore, entro e non oltre 4 giorni lavorativi prima della partenza, la propria impossibilità di usufruire del pacchetto e le generalità della persona che ne usufruirà al suo posto. Il cedente (consumatore che ha comprato il pacchetto turistico) ed il cessionario (la persona sostituita) sono solidalmente obbligati nei confronti dell'organizzatore o del venditore al pagamento del prezzo e delle ulteriori spese eventualmente derivanti dalla cessione.

2) il recesso in caso di revisione del prezzo e di modifiche delle condizioni contrattuali

La revisione del prezzo forfettario di vendita del pacchetto turistico convenuto dalle parti è ammesso solo quando sia stata espressamente prevista dal contratto e non può in ogni caso essere superiore al 10% del prezzo originario: in caso contrario l' acquirente può recedere dal contratto ed ottenere il rimborso delle somme già versate.In ogni caso, il prezzo non può essere aumentato nei 20 giorni che precedono la partenza: se prima della partenza viene modificato in modo significativo uno o più elementi del contratto (compreso il prezzo) il consumatore deve immediatamente essere avvisato per iscritto. Il consumatore può non accettare la proposta di modifica e recedere dal contratto senza pagamento di penali: entro 7 giorni lavorativi dal momento del recesso gli deve essere rimborsata la somma di denaro già corrisposta.

Il recesso ingiustificato e giustificato: disciplina

In caso di recesso da parte del consumatore per ragioni personali ( il cosiddetto "recesso ingiustificato"), il tour operator non potrà trattenere importi superiori al 25% dell' intero prezzo del viaggio, che è solitamente la somma versata a titolo di caparra al momento della stipulazione del contratto.Tale tetto massimo deve essere rispettato anche nei casi in cui la rinunzia avvenga nei giorni immediatamente antecedenti la partenza, quando il consumatore ha già pagato l'intero pacchetto.Se, al contrario, il recesso del consumatore dipende da un fatto a lui non imputabile ovvero sia giustificato dal grave inadempimento della controparte, il recesso sarà "giustificato" e quindi il consumatore ha diritto al rimborso dell'intera somma versata, senza ulteriori conseguenze. In questo caso, e nel caso in cui il pacchetto turistico venga cancellato prima della partenza per qualsiasi motivo (ad eccezione dei casi di colpa del consumatore o per causa di forza maggiore), il consumatore ha diritto di usufruire di un altro pacchetto turistico di qualità equivalente o superiore senza supplemento di prezzo, o di un pacchetto turistico qualitativamente inferiore previa restituzione della differenza del prezzo, oppure ha diritto al rimborso, entro 7 giorni lavorativi dal momento del recesso o della cancellazione, della somma di denaro già corrisposta, oltre al risarcimento di ogni ulteriore danno dipendente dalla mancata esecuzione del contratto.

Il risarcimento del danno

In caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l'organizzatore ed il venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità, se non provano che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da una causa a loro non imputabile. L'organizzatore o il venditore che si avvale di altri prestatori di servizi è comunque tenuto a risarcire il danno sofferto dal consumatore, salvo il diritto di rivalersi nei loro confronti. Il risarcimento del danno comprende sia il danno patrimoniale (rimborso dei costi sostenuti per i servizi non resi), sia il danno morale (cosiddetto "danno da vacanza rovinata" per non aver potuto godere della tranquillità che sarebbe stato lecito attendersi da una vacanza) come stabilito, tra le altre, dalla sentenza del Tribunale di Torino il 28-11-1996. Per tutte le ulteriori questioni inerenti a fattispecie non rientranti nella definizione di pacchetto turistico (ad esempio: il fatto che ha acquistato soltanto un biglietto aereo o ferroviario, o solo un pernottamento in un albergo) il consumatore può ricorrere alla generale tutela prevista dal Cod. Civile in materia di inadempimento contrattuale e risarcimento del danno.

Modalità del reclamo

Il consumatore deve contestare sul luogo di villeggiatura ogni mancanza nell' esecuzione del contratto senza ritardo affinché l'organizzatore, il suo rappresentante locale o l' accompagnatore vi pongano tempestivamente rimedio, predisponendo adeguate soluzioni alternative. Al rientro dalla vacanza nella località di partenza, il consumatore può sporgere reclamo all'organizzatore o al venditore e chiedere il rimborso per le spese effettuate e non dovute, per la mancata prestazione di servizi e per i giorni di vacanza non usufruiti. La contestazione deve essere effettuata entro 10 giorni lavorativi dalla data del rientro, deve essere indirizzata al tour operator o all'agenzia di viaggi, mediante l'invio di una raccomandata con ricevuta di ritorno , allegando tutta la documentazione utile: depliant illustrativo, copia del contratto, foto o filmati del luogo, ricevute di pagamenti extra, denunce per furti o danneggiamenti, certificati medici, dichiarazioni scritte, testimonianze ecc.

Ricorso al Giudice di Pace/Tribunale

In caso di risposta negativa del tour operator si puo' ricorrere al Giudice di Pace (per cause fino a 2500 euro).Comunque, il mancato esercizio di tale onere non impedisce al consumatore di rivolgersi al giudice per il risarcimento. Importante è che l'azione risarcitoria nei confronti dell'organizzatore o del venditore deve essere esperita entro e non oltre un anno dal rientro del consumatore nel luogo della partenza; altrimenti, una volta decorso tale termine, non sarà più possibile ricorrere al giudice, tranne nel caso in cui il consumatore abbia riportato un danno alla persona: in questo caso, il termine di prescrizione oltre il quale non sarà più possibile ottenere il risarcimento è di 3 anni dal momento di ritorno nel luogo di partenza.In ogni caso chi lamenta danni patrimoniali deve darne giustificazione esibendo le pezze giustificative per i danni subiti e le spese sostenute. Deve inoltre produrre idonea certificazione medica per i danni alla salute. La Corte di Giustizia europea ha inoltre riconosciuto il diritto al risarcimento del danno morale da vacanza rovinata, specialmente se questa e' in relazione a particolari circostanze (viaggio di nozze, unico periodo di vacanze, ecc.). Pertanto, il consumatore che lamenti l’inadempimento del tour operator alle obbligazioni assunte potrà chiedere al Giudice civile il risarcimento del danno subito, sia esso patrimoniale, ossia il rimborso dei costi sostenuti per servizi non resi, sia esso danno-morale, il cosiddetto "danno da vacanza-rovinata", per non aver potuto godere della tranquillità che sarebbe stato lecito attendersi da una vacanza.Non sempre la richiesta di risarcimento danni (alla salute, per ferie non godute e per "vacanza rovinata") rivolta dal consumatore contro il tour operator organizzatore del viaggio è stata ritenuta legittima: con sentenza n. 17041 del 2003 la Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta di danni ad una famiglia di Verona, che aveva intrapreso un’azione contro il proprio tour operator di ritorno da una vacanza a Santo Domingo. Soggiorno funestato dal passaggio dell’uragano Bertha, ritenendo che i turisti non avessero non avevano fornito le prove della negligenza del tour operator e stabilendo che "I turisti la cui vacanza ai Tropici fosse rovinata da un uragano, avranno diritto al risarcimento da parte del tour operator, a condizione che dimostrino che le cattive condizioni meteorologiche, pur annunciate, furono disattese dagli organizzatori”.Un altro caso in cui non è stato riconosciuto la responsabilità dell'organizzatore e- dunque - in cui è stato negato il risarcimento dei danni subiti dal consumatore - è il caso in cui i disservizi e le difformità nell'esecuzione di un viaggio tutto compreso siano da attribuirsi alle caratteristiche dei luoghi meta del viaggio, con riferimento al suo sviluppo tecnologico e logistico ed alla sua propensione al turismo, tali per cui il turista avrebbe potuto prevedere il verificarsi di alcuni disservizi (sempre se tali disservizi siano in misura comprensibile rispetto allo stato dei luoghi) e sempre che l'agente di viaggio abbia cercato di porvi rimedio attraverso gli organizzatori locali. Con sentenza del 24/4/2002, infatti, il Tribunale di Roma ha riconosciuto che , se il consumatore decide di intraprendere un viaggio in una località non attrezzata turisticamente, egli deve razionalmente prevedere la possibilità del verificarsi di disservizi e difformità rispetto al programma pattuito nel pacchetto turistico: il tour operator pertanto non potrà quindi essere ritenuto responsabile ed essere chiamato a rispondere per la delusione di aspettative disattese che va sotto il nome di danno da vacanza rovinata. Dalle ultime sentenze citate si evince come non solo il tour operator e l'agenzia di viaggio siano gravati da un obbligo di informazione nei confronti del consumatore, ma anche il consumatore-turista medesimo abbia un obbligo di auto-informazione (dello stato dei luoghi, delle condizioni meteorologiche, e su tutte le informazioni circa i dati necessarie allo svolgimento del viaggio): ove il viaggiatore non adempia a questo dovere, non potrà poi rivalersi sull'organizzatore del viaggio per i disservizi e le difformità che siano causate da elementi che egli avrebbe ben potuto prevedere.
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