lunedì 13 ottobre 2008

Il caso Petrella:cronaca di un delitto impunito!



IL FATTO:


Marina Petrella, detta “Primula rossa”, 54 anni, dal 1976 operante nella colonna romana delle Brigate Rosse, condannata all'ergastolo nel 1992, al termine del cosiddetto processo “Moro Ter”, per l’omicidio di un poliziotto ed il sequestro di un Magistrato, libera di espatriare, per gli effetti della decorrenza dei termini di custodia cautelare.


LA LATITANZA:


nel 1993 fugge in Francia, dove per l’effetto della “dottrina Mitterand”, varata nel 1985, il terrorista latitante non può essere estradato in Italia se si impegna a rinunciare alla lotta armata costruendosi una nuova vita. (Roba da far impallidire Montesquieu!).Sulla scorta di questa dottrina, parecchi brigatisti nostrani ripararono a Parigi sfuggendo, così alla giustizia italiana.Ritornando alla Petrella, dopo essersi rifugiata a Parigi, vive indisturbata fino al 2007, lavorando come assistente sociale, anno in cui la polizia francese stranamente si accorge di lei identificandola ad un normale posto di blocco stradale e finalmente arrestandola.Tale circostanza fa scattare l’inevitabile procedura per l’estradizione richiesta dal Governo italiano.Il 9 luglio 2007, il Presidente della Repubblica francese, Sarkozy, assicura pubblicamente che la "dottrina Mitterand" è superata, dichiarandosi pronto a firmare il decreto di estradizione della Petrella, subordinandolo però, alla concessione della grazia da parte delle Autorità italiane.
La Petrella, nel frattempo colta da un attacco di depressione, esce dal carcere e viene ricoverata in una casa di cura di Parigi dove afferma testuali parole:” In Italia non tornerò, potranno riavere soltanto il mio corpo”Il Governo italiano ribadisce che la brigatista deve essere estradata in base al diritto comunitario, senza condizioni, in quanto la grazia la può concedere solo il Presidente della Repubblica italiana a seguito di richiesta da parte dell’imputata, assicurando, altresì, cure adeguate per la brigatista.Senonchè l'Avv. Irene Terrel legale della Petrella, rispolvera una clausola del Trattato di Estradizione Italia-Francia del 1957 dove si prevede una opposizione al decreto di estradizione qualora ricorrano motivi umanitari (rischio di lasciarsi morire). Guarda caso da allora, la Petrella ha iniziato lo sciopero della fame e della sete.
Il resto dell'opera la completano le sorelle Carla e Valeria Bruni, mentori della causa della Petrella, convincendo il Presidente Sarkozy a disapplicare il decreto di estradizione.


IL DIRITTO COMUNITARIO VIOLATO:


La posizione della Francia in questa vicenda è del tutto arbitraria ed ingiustificabile sul piano del diritto comunitario per i seguenti punti:
1) In base al trattato di Schengen, Titolo III, lettera c ) i firmatari dell'Accordo si impegnano ad estradare tra loro le persone perseguite dalle autorità giudiziarie della parte richiedente;
2) La dottrina Mitterand, è una semplice prassi francese e non può derogare un trattato internazionale firmato dalla Francia stessa;
3) la clausola umanitaria invocata dal legale della Petrella è pretestuosa poichè la sua assistita potrebbe continuare ad essere curata in Italia, dove è previsto il rinvio dell'esecuzione della pena per malattia particolarmente grave incompatibile con la detenzione carceraria (artt. 146-147 c.p.)
CONCLUSIONI:

Si attende che il Governo italiano faccia rispettare in seno alla Corte di Giustizia europea l'Accordo di Schengen, tramite ricorso per inadempimento.Questo sia ben chiaro, non per spirito di rivalsa ma per garantire, seppur a 30 anni di distanza, un barlume di giustizia ai parenti di tutte quelle vittime che il terrorismo ha falciato negli anni’70 , i quali dalla legge devono essere tutelati e non irrisi.

domenica 12 ottobre 2008

CARCERI AL COLLASSO: 56.768 DETENUTI!


Hanno superato la soglia di 56.000 i detenuti delle carceri italiane, e oltre 9.000 sono rappresentati da coloro che sono tornati dietro le sbarre dopo aver beneficiato dell'indulto. A fornire l'ultima fotografia della popolazione carceraria è il Corpo di polizia penitenziaria, in occasione della propria festa nazionale che sarà celebrata mercoledì prossimo. In base alle cifre aggiornate al 30 settembre scorso, i detenuti presenti negli istituti penitenziari per adulti sono 56.768.


-Le donne rappresentano una minoranza: sono appena 2.548.


-Per quanto riguarda invece gli effetti dell'indulto, i dati si riferiscono al 15 luglio scorso: a quella data i detenuti che hanno beneficiato del provvedimento di clemenza sono stati 27.472, mentre i rientri sono stati pari a 9.875.

mercoledì 1 ottobre 2008

la Cassazione insiste: ai figli legittimi il cognome della madre.

I giudici della Cassazione insistono e ripetono quello che già da alcuni anni affermano nelle loro sentenze: è possibile dare il cognome della madre ai figli legittimi, se c’è piena concordia dei genitori. L’ultima affermazione in questo senso, resa nota il 23 settemmbre u.s., si riferisce alla I sezione civile della Suprema Corte che con l’ordinanza n.23934, ha chiesto la valutazione di un caso «alla luce della mutata situazione della giurisprudenza costituzionale e del probabile mutamento delle norme comunitarie» o di investirne di nuovo la Corte Costituzionale. Le parole della Corte si riferiscono alla vicenda di due genitori che, in totale accordo, chiedono di attribuire al proprio figlio il cognome della madre al posto di quello del padre scritto nell’atto di nascita. Il tribunale e la Corte d’appello di Milano avevano respinto la richiesta. E allora i giudici della Cassazione rispondono ricordando che oggi, dopo la ratifica del trattato di Lisbona (in cui, tra le altre cose, si afferma il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la parità tra uomini e donne, nonchè ogni discriminazione fondata sul sesso) «si dovrebbe aprire la strada all’applicazione diretta delle norme del trattato stesso e di quelle alle quali il trattato fa rinvio e, comunque, al controllo di costituzionalità che, anche nei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, non può essere escluso». Già nel 2004 i giudici della Cassazione tentarono di scardinare il predominio del cognome ereditato dal padre chiamando la Consulta a mettere fuori legge le norme che, automaticamente, prevedono l’attribuzione del cognome del padre ai figli legittimi. Ma i giudici costituzionali se ne lavarono le mani dicendo che il compito spetta al legislatore. Allora, nel 2006, gli ermellini si appellarono al Parlamento affinchè si decidesse a togliere i veti al cognome materno. Intanto, però, diedero il «via libera» perchè ai figli naturali possa rimanere il cognome materno qualora il padre non li abbia riconosciuti alla nascita. Nella sentenza numero 12641 della I sezione civile, i giudici avevano respinto la richiesta di Francesco T, l'uomo che aveva riconosciuto il figlio a distanza di quasi 10 anni dalla nascita dello stesso.Il Parlamento però non ha partorito molto di più che una proposta di legge da quando si è insediato. legislatura.
La pronuncia della Suprema Corte mette a serio rischio la stabilità della famiglia tradizionale, minacciata prima dai PACS, poi dai DICO ed ora dal principio che tenta di scardinare l'eredità del cognome paterno.
La parola definitiva spetta comunque al Parlamento, il quale dovrà predisporre una legge ad hoc.
Per ora solo Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc, si è schierato apertamente contro: «Gli ermellini della Cassazione farebbero meglio ad occuparsi della giusta, corretta e rapida applicazione della legge vigente invece di arrogarsi la prerogativa di fare leggi nuove usurpando i diritti del Parlamento». Pienamente favorevoli a una legge da discutere in Parlamento invece Rosy Bindi che ha firmato il progetto di legge della scorsa legislatura, Vittoria Franco del Pd, Donatella Poretti dei Radicali.
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