martedì 24 marzo 2009

Tempi duri per chi ingiuria e diffama via web


Così si pronunciò la Corte di Cassazione, il 10 MARZO 2009 con sentenza n. 10535/2009 : ai contenuti prodotti online dagli utenti come (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, chat...) non possono essere applicate le tradizionali leggi sulla stampa. Ergo è legittimo sia il sequestro di messaggi su forum e blog et simili, dai contenuti ingiuriosi e diffamatori, che la responsabilità penale dell’autore del post!
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Le norme italiane sulla stampa non possono valere anche per i nuovi mezzi di comunicazione come forum e blog. Non sembra avere dubbi in proposito la Corte di Cassazione, che nella giornata di ieri ha respinto un ricorso presentato da una associazione dei consumatori contro il sequestro di alcuni messaggi di un suo forum online. Il nuovo pronunciamento della Corte potrebbe ora costituire un precedente nella delicata materia legata ai diritti, ai doveri e alle libertà di chi utilizza il Web.
Il Fatto:
Nel novembre del 2006, la Procura della Repubblica di Catania aveva disposto il sequestro del forum dell'Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) in seguito a una denuncia presentata da Mater Onlus, una associazione coordinata da don Fortunato di Noto.
Secondo gli autori dell'iniziativa legale, sul forum erano infatti comparsi alcuni messaggi ritenuti ingiuriosi e in violazione dell'articolo 403 c.p., che comprende il reato di "offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone".
Determinata a far valere i propri diritti contro un'azione ritenuta meramente di censura, l'Aduc aveva successivamente richiesto l'intervento del Tribunale del riesame di Catania, che aveva giudicato illegittimo il sequestro dell'intero forum. Il Pubblico Ministero aveva così disposto il mantenimento dei capi di accusa per tre soli utenti, autori dei nove messaggi sul forum per i quali era stato ravvisato il vilipendio. Per tutelare i suoi utenti, l'associazione dei consumatori aveva infine deciso di ricorrere in Cassazione e di presentare un'interrogazione parlamentare, passata per ora inascoltata.
A distanza di oltre due anni dall'inizio della querelle legale, ora la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato la legittimità del sequestro dei messaggi incriminati dal forum dell'Aduc, dando dunque ragione all'operato dei magistrati di Catania.
Per la Suprema Corte i nuovi mezzi di espressione, come forum e blog, non possono essere qualificati «come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica». La Corte prosegue poi sottolineando come i forum: «sono una semplice area di discussione dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa (come indicare un direttore responsabile per registrare la testata) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che la Costituzione riserva solo alla stampa».
La decisione della Cassazione apre nuovi dubbi sullo stato giuridico dei contenuti prodotti con i nuovi mezzi di comunicazione, oggetto ormai da tempo di numerose proposte di legge e di alcune sentenze.
La Corte sembra ora distinguere con maggiore nettezza tra testate editoriali regolarmente registrate e semplici siti di confronto online, che non possono dunque sottostare alle leggi concepite per la stampa. La sentenza sembra allontanare da forum e blog l'obbligo (ventilato da alcune proposte di legge) di effettuare una registrazione della testata e indicare un direttore responsabile, ma apre non pochi interrogativi sulla libertà di espressione degli utenti e sulle loro tutele in Rete.

…Il Testo della Sentenza
Corte di Cassazione - Sezione Terza - Sentenza del 10 marzo 2009, n. 10535

Svolgimento del processo
Con ordinanza 25 ottobre 2007 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catania respinse la richiesta dell’Aduc di revoca del sequestro preventivo di alcune pagine web di sua proprietà disposto il 20.11.2007 in relazione al reato di cui all’art. 403 cod. pen.Il tribunale del riesame di Catania, con l’ordinanza in epigrafe, in parziale accoglimento dell’appello dell’Aduc, revocò il sequestro previa rimozione sul sito internet dell’Aduc delle espressioni e dei messaggi oggetto dei reati contestati, inibendone l’ulteriore diffusione.L’Aduc propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza dell’art. 21, comma 6, Cost. e illegittimità del sequestro preventivo poiché non attiene a reati contro il buon costume. Osserva che l’art. 21, comma 6, Cost. consente la limitazione dell’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero nei soli casi di manifestazioni contrarie al buon costume.
2) inosservanza dell’art. 21, comma 6, Cost. e illegittimità del sequestro preventivo perché l’offesa ad una confessione religiosa non è contraria al buon costume.
3) erronea applicazione dell’art. 403 cod. pen. per erronea individuazione del bene giuridico protetto dalla norma. Osserva che, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, non c’è offesa se non vengono individuati i singoli individui, soggetti passivi della norma e portatori del bene giuridico da essa tutelato.
4) erronea applicazione dell’art. 21, comma 3, Cost. ed erronea individuazione dell’ambito applicativo del divieto di sequestro ivi previsto. Erronea interpretazione restrittiva del concetto di stampa che esclude l’informazione non ufficiale.

Motivi della decisione
Il primo motivo è inammissibile perché consiste in una censura nuova non dedotta con l’appello, e che non può quindi essere proposta per la prima volta in questa sede di legittimità. Il motivo è comunque manifestamente infondato perché l’art. 21, comma 6, Cost. vieta direttamente «le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume», disponendo altresì che «la legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni», ma non ha inteso dire che un comportamento, costituente manifestazione del pensiero, possa essere dalla legge vietato e previsto come reato esclusivamente quando sia contrario al buon costume, e non anche quando sia lesivo di altri beni ritenuti meritevoli di tutela, sebbene non lesivo del buon costume. Se così non fosse, del resto, dovrebbe ritenersi che i reati di ingiuria e diffamazione non sarebbero legittimi quando colpiscano comportamenti lesivi solo dell’onore e della reputazione delle persone, e non anche del buon costume.Per le stesse ragioni è inammissibile, sia perché nuovo sia perché manifestamente infondato, anche il secondo motivo. Con l’atto di appello, invero, non era stato dedotto che il sequestro in questione era illegittimo perché le frasi contestate non erano suscettibili di offendere il buon costume inteso come pudore sessuale della collettività. Né tale doglianza può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità solo perché l’ordinanza impugnata ha osservato che alcune delle frasi incriminate, oltre ad avere offeso la religione cattolica mediante il vilipendio dei suoi fedeli e dei suoi ministri, avevano travalicato i limiti del buon costume alludendo espressamente a pratiche pedofile dei sacerdoti per diffondere il «sacro seme del cattolicesimo». In ogni caso il motivo è manifestamente infondato perché l’art. 21, comma 6, Cost. non limita la possibilità della legge di prevedere, in caso di reato, il sequestro di cose che rappresentino manifestazioni del pensiero soltanto quando queste siano lesive del pudore sessuale.Il terzo motivo è infondato perché esattamente il tribunale del riesame ha ritenuto che per la configurabilità del reato di cui all’art. 403 cod. pen. non occorre che le espressioni di vilipendio debbano essere rivolte a fedeli ben determinati, ben potendo invece, come nella specie, essere genericamente riferite alla indistinta generalità dei fedeli. La norma invero protegge il sentimento religioso di per sé, sanzionando le pubbliche offese verso lo stesso attuate mediante vilipendio dei fedeli di una confessione religiosa o dei suoi ministri.Opportunamente, invero, l’ordinanza impugnata ha ricordato la sent. n. 188 del 1975 della Corte costituzionale, la quale affermò che «il sentimento religioso, quale vive nell’intimo della coscienza individuale e si estende anche a gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della professione di una fede comune, è da considerare tra i beni costituzionalmente rilevanti, come risulta coordinando gli artt. 2, 8 e 19 Cost., ed è indirettamente confermato anche dal primo comma dell’art. 3 e dall’art. 20. Perciò il vilipendio di una religione, tanto più se posto in essere attraverso il vilipendio di coloro che la professano o di un ministro del culto rispettivo, come nell’ipotesi dell’art. 403 cod. pen., che qui interessa, legittimamente può limitare l’ambito di operatività dell’art. 21: sempre che, beninteso, la figura della condotta vilipendiosa sia circoscritta entro i giusti confini, segnati, per un verso, dallo stesso significato etimologico della parola (che vuol dire “tenere a vile”, e quindi additare al pubblico disprezzo o dileggio), e per altro verso, dalla esigenza di rendere compatibile la tutela penale accordata al bene protetto dalla norma in questione con la più ampia libertà di manifestazione del proprio pensiero in materia religiosa», e che «il vilipendio, dunque, non si confonde né con la discussione su temi religiosi, così a livello scientifico come a livello divulgativo, né con la critica e la confutazione pur se vivacemente polemica; né con l’espressione di radicale dissenso da ogni concezione richiamantesi a valori religiosi trascendenti, in nome di ideologie immanentistiche o positivistiche od altre che siano. Sono, invece, vilipendio, e pertanto esclusi dalla garanzia dell’art. 21 (e dell’art. 19), la contumelia, lo scherno, l’offesa, per dir così, fine a sé stessa, che costituisce ad un tempo ingiuria al credente (e perciò lesione della sua personalità) e oltraggio ai valori etici di cui si sostanzia ed alimenta il fenomeno religioso, oggettivamente riguardato».D’altra parte, anche la recente sent. n. 168 del 2005 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 403 cod. pen. nella parte in cui prevede, per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406 dello stesso codice) ha fatto espresso riferimento alle «esigenze costituzionali di eguale protezione del sentimento religioso che sottostanno alla equiparazione del trattamento sanzionatorio per le offese recate sia alla religione cattolica, sia alle altre confessioni religiose», ribadendo che tutte le norme contemplate dal capo dei delitti contro il sentimento religioso «si riferiscono al medesimo bene giuridico del sentimento religioso, che l’art. 403 cod. pen. tutela in caso di offese recate alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto».Del resto, anche qualora potesse accogliersi la tesi del ricorrente secondo cui il bene tutelato dalla norma non è il sentimento religioso ma la persona (fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente ad una determinata confessione religiosa, non si vedrebbe perché questa tesi dovrebbe comportare che, per aversi reato, il vilipendio dovrebbe rivolgersi verso determinate persone e non verso il gruppo indistinto dei fedeli di quella confessione religiosa nei cui confronti viene pubblicamente portata l’offesa.È infine infondato anche il quarto motivo. Va preliminarmente osservato che il tribunale del riesame ha revocato il sequestro del forum esistente nell’ambito del sito appartenente alla associazione ricorrente, lasciandolo esclusivamente sui singoli messaggi inviati da alcuni partecipanti al forum in questione, contenenti le frasi oggetto dei reati contestati.Ciò posto, il Collegio ritiene che esattamente il tribunale del riesame ha dichiarato che nel caso di specie non trova applicazione l’art. 21, comma 3, Cost., secondo cui «Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili», dato che la concreta fattispecie in esame non rientra nella più specifica disciplina della libertà di stampa, ma solo in quella più generale di libertà di manifestazione del proprio pensiero di cui all’art. 21, comma 1, Cost.Gli interventi dei partecipanti al forum in questione, invero, non possono essere fatti rientrare nell’ambito della nozione di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dall’art. 1 della legge 7 marzo 2001, n. 62, che ha esteso l’applicabilità delle disposizioni di cui all’ articolo 2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (legge sulla stampa) al «prodotto editoriale», stabilendo che per tale, ai fini della legge stessa, deve intendersi anche il «prodotto realizzato … su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico». Il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da coloro che si siano registrati nel forum, non fa sì che il forum stesso, che è assimilabile ad un gruppo di discussione, possa essere qualificato come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica. Si tratta quindi di una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole ed agli obblighi cui è soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un direttore responsabile o di registrazione) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l’art. 21, comma 3, Cost. riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero. D’altra parte, nel caso in esame, neppure si tratta di un forum strutturalmente inserito in una testata giornalistica diffusa per via telematica, di cui costituisca un elemento e su cui il direttore responsabile abbia la possibilità di esercitare il controllo (così come su ogni altra rubrica della testata).Acutamente il difensore del ricorrente sostiene che la norma costituzionale dovrebbe essere interpretata in senso evolutivo per adeguarla alle nuove tecnologie sopravvenute ed ai nuovi mezzi di espressione del libero pensiero. Ma da questo assunto, non può farsi derivare che i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell’art. 21, comma 3, Cost., prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi.In realtà i messaggi lasciati su un forum di discussione (che, a seconda dei casi, può essere aperto a tutti indistintamente, o a chiunque si registri con qualsiasi pseudonimo, o a chi si registri previa identificazione) sono equiparabili ai messaggi che potevano e possono essere lasciati in una bacheca (sita in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, o privato) e, così come quest’ultimi, anche i primi sono mezzi di comunicazione del proprio pensiero o anche mezzi di comunicazione di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dalla norma costituzionale.Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

giovedì 12 marzo 2009

Errori giudiziari: 5 innocenti al giorno finiscono agli arresti!



Si parla di ingiusta detenzione cautelare, vale a dire di quegli episodi in cui l’autorità giudiziaria, nella fase d’indagine dispone un arresto che poi si rivela per l’appunto illegittimo.
I numeri ufficiali sono impietosi.

Il ministero della Giustizia, ha calcolato che le cause di risarcimento che tali ingiustizie hanno originato in 5 anni, dal 2003 al 2007, sono state complessivamente 9.557 .
Cioè in in cinque anni è stato accertato l’arresto ingiusto di 10.000 persone!
Sempre in questo periodo lo Stato italiano ha dovuto sborsare in risarcimento per custodia cautelare illegittima la somma di € 206.000.000,00.
A cui bisogna aggiungere la cifra di € 7.000.000,00 che invece è stata riconosciuta a chi è stato processato e condannato ingiustamente.
In definitiva per un giorno di galera iniqua, lo Stato riconosce un indennizzo di € 235,83.
Mentre nel caso di arresti domiciliari, sempre imposti ingiustamente la cifra scende a € 117,91 al giorno.
A prescindere dai giorni di detenzione iniqua, lo Stato ha fissato un tetto massimo di risarcimento: poco più di € 500.000.
Tra le 27 Corti d’Appello italiche, la “maglia nera” dei procedimenti di riparazione per ingiusta detenzione, spetta a Napoli con 497 cause pendenti, mentre quella più virtuosa a Campobasso con 1 solo procedimento.
Nel dettaglio, i procedimenti pendenti presso le Corti, nel periodo 2003-07 sono:
1) CAMPOBASSO.n. 1
2) TRENTO..............3
3) BOLZANO............3
4) BRESCIA(4) *** 5) CAGLIARI(5)*** 6) TRIESTE(9)*** 7) SASSARI(17)*** 8) PERUGIA(20)*** 9) BOLOGNA(26)*** 10) ANCONA(29)*** 11) POTENZA(32)*** 12) GENOVA(36)*** 13) MILANO(38)*** 14) FIRENZE(41)*** 15) SALERNO(42)*** 16) L’AQUILA(47)*** 17) VENEZIA(50)*** 18) CALTANISSETTA(62)*** 19) PALERMO(69)*** 20) CATANIA(112)*** 21) ROMA(135)*** 22) MESSINA(144)*** 23) REGGIO CALABRIA(179)*** 24) LECCE(194)
25) CATANZARO..246
26) BARI...............382
27) NAPOLI..........497
dietro questi freddi numeri si nascondono: onorabilità, reputazioni e vite umane compromesse.
Il caso emblematico: l'arresto "spettacolo" del giornalista Enzo Tortora avvenuto negli anni '80.
Chi era Tortora?
Era un presentatore televisivo molto noto, molto quotato, un conduttore - come si dice oggi - da 28 milioni di telespettatori.
Finì, all’improvviso, in un tritacarne allestito dalla procura di Napoli sulla base di un manipolo di "pentiti" che prese ad accusarlo di reati ignobili: traffico di droga ed associazione mafiosa.
Con lui – prima che quell’operazione si sgonfiasse come un palloncino – finiranno nel tritacarne altre 855 persone.
Il suo arresto fu un evento mediatico.
Prima di trasferirlo in carcere i carabinieri lo ammanettano come il peggiore dei criminali e gli allestiscono una sorta di passerella davanti a fotografi ed operatori televisivi. L’Italia si spacca letteralmente in due tra innocentisti e colpevolisti. E la stampa, dichiaratamente forcaiola, riesce a dare il peggio di sé.
E’ la quasi estate del 1983. Comincia il "caso di Enzo Tortora", vittima sacrificale degli isterismi e dei pressappochismi dell’antimafia. Con Tortora la giustizia italiana fa un salto indietro di qualche secolo, coprendosi letteralmente di vergogna. Un gruppo di magistrati mostra i suoi lati più bui. Il presentatore televisivo viene tenuto in carcere per sette mesi, ottenendo appena tre colloqui con i suoi inquirenti. Gli indizi che lo accusavano sono debolissimi, praticamente inesistenti: oltre alle parole dei "pentiti", soltanto un’agendina trovata nell’abitazione di un camorrista. Un nome scritto a penna e un numero telefonico. Solo dopo lungo tempo si saprà che quel nome non era "Tortora", ma "Tortosa" e che il recapito del telefono non era quello del presentatore. Nel giugno del 1984 Enzo Tortora – nel frattempo divenuto il simbolo delle tragedie della giustizia italiana – viene eletto deputato europeo nelle liste dei radicali che ne sosterranno sempre le battaglie libertarie. Il 17 settembre 1985 (ad oltre due anni dall’arresto) Tortora viene condannato a dieci anni di galera. Nonostante l’evidenza, le accuse degli 11 "pentiti" (definiti da un giornale "la nazionale della menzogna") hanno retto al dibattimento. Con un gesto nobile, l’ormai ex divo della TV – protetto dall’immunità parlamentare - si consegna. Resterà agli arresti domiciliari. Il 15 settembre 1986 (a più di tre anni dall’inizio del suo dramma) Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla corte d’Appello di Napoli.Il 20 febbraio 1987 torna sugli schermi televisivi.Il 17 marzo 1988 Tortora viene definitivamente assolto dalla Cassazione.Il 18 maggio 1988, stroncato da un tumore, Enzo Tortora muore.
Resterà per sempre il simbolo di una giustizia ingiusta. Che di macroscopici errori, dopo di lui ne commetterà – purtroppo – ancora molti.
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