mercoledì 2 luglio 2008

Reato di Peculato per il dipendente pubblico che naviga in internet per fini personali


Corte di Cassazione, Sez. VI penale, con sentenza 21 maggio 2008, n. 20326
La configurabilità del reato di peculato in relazione alla condotta del dipendente pubblico che naviga in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione (prevalentemente materiale di carattere pornografico), passa necessariamente attraverso l'individuazione del bene giuridico tutelato dall'art. 314 c.p.
Orbene, secondo l'orientamento maggioritario e tradizionale, sia in dottrina che in giurisprudenza, la fattispecie di peculato costituisce un esempio di reato plurioffensivo, in quanto la condotta sanzionata lede non solo il regolare funzionamento dalla Pubblica Amministrazione, ma anche gli interessi patrimoniali di quest'ultima. Corollario di tale impostazione è l'argomentazione per cui l'eventuale mancanza di un danno patrimoniale, conseguente all'appropriazione, non varrebbe ad escludere il reato, considerato che la condotta dell'agente sarebbe comunque in contrasto con l'altro interesse protetto dalla norma, e cioè il buon andamento della Pubblica Amministrazione (Corte di Cassazione, Sezione VI penale, sentenza 24 agosto 1993 n. 8003).Applicando queste coordinate, dunque, è evidente che la condotta del dipendente pubblico che naviga in internet su siti non istituzionali e per fini personali integra pienamente il reato di peculato. Infatti, a tacer d'altro, è sicuramente riscontrabile un vulnus al regolare e corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione che si concretizza nella sottrazione del computer a quella che è la sua normale destinazione giuridica.
Più di recente, invece, la Corte di Cassazione sembra propugnare un nuovo orientamento ritenendo che l'oggetto giuridico del delitto di peculato si identifichi con la tutela del patrimonio della P.A. da quanti sottraggano o pongano a profitto proprio o altrui denaro o cose mobili, rientranti nella sfera pubblica, di cui siano in possesso per ragioni del loro ufficio o servizio. La norma penale presuppone, quindi, che l'azione compiuta configuri una lesione dell'integrità patrimoniale della pubblica amministrazione (Corte di Cassazione, Sezione VI, 19 settembre 2000, n. 10797).Alla luce di siffatto nuovo orientamento, nella fattispecie risulta indispensabile stabilire se il pubblico dipendente abbia arrecato o meno un pregiudizio al patrimonio della pubblica amministrazione per poter ritenere sussistente il reato di peculato. Verifica che va effettuata tenendo conto del concreto assetto dell'organizzazione pubblica, e più precisamente accertando la presenza o meno di una convenzione tra la P.A. e l'ente gestore di internet che preveda un uso illimitato del servizio con tariffa fissa. Un fatto è certo: se dovesse mancare la suddetta convenzione il danno al patrimonio pubblico sarebbe rappresentato dalle spese sostenute dalla P.A. per ogni contatto telefonico effettuato dal dipendente al fine della navigazione su siti non istituzionali. Con l'ulteriore precisazione che il peculato configurabile è quello ordinario e non quello d'uso, atteso che oggetto dell'appropriazione sono le energie (intese come "cosa mobile"), entrate a far parte della sfera di disponibilità della pubblica amministrazione, occorrenti per le conversazioni telefoniche. Diversa la conclusione se, invece, la P.A. avesse stipulato una convenzione a tariffa fissa con l'ente gestore di internet. In tale caso, infatti, il delitto di peculato non sussisterebbe per carenza di lesione dell'integrità patrimoniale della p.a., in quanto quest'ultima sarà tenuta a corrispondere all'ente gestore di internet una determinata somma a prescindere dall'intensità dell'uso del servizio.
La decisione della Suprema Corte. La sesta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 20326 del 21 maggio 2008, ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale del Riesame ed accolto il primo degli orientamenti esposti (e cioè quello sulla natura plurioffensiva del reato di peculato), affermando che "la disposizione dell'art. 314 c.p., oltre a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione, mira ad assicurare anche il corretto andamento degli uffici della stessa….".Di conseguenza, la Corte lascia intendere che, anche se dovesse essere escluso il danno all'integrità patrimoniale per l'esistenza di una convenzione a tariffa fissa, il dipendente pubblico che naviga in internet per finalità personali arreca comunque un pregiudizio al buon andamento della p.a., con susseguente configurabilità del reato ex art. 314 c.p.
Conclusioni. Alla luce di tali osservazioni, sembra opportuno, tuttavia, menzionare l'orientamento che individua il bene giuridico protetto dall'art. 314 c.p. soltanto nell'integrità patrimoniale della p.a., sul rilievo che il «buon andamento» si atteggia ad interesse giuridico di fondo (interesse che caratterizza tutti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) piuttosto che a specifico bene giuridico tutelato dalla norma sul peculato. Questa conclusione è avvalorata, inoltre, dalla considerazione che i comportamenti come quelli oggetto della decisione in commento – anche se inidonei ad arrecare un danno al patrimonio alla p.a. – non vanno esenti da pena, in quanto possono essere attratti nell'ambito di applicazione dell'abuso d'ufficio (si veda Corte di Cassazione, Sezione VI, sentenza 14 novembre 2001, n. 1905).In definitiva, tuttavia, sarebbe utile un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite per porre fine ad un contrasto, relativo appunto all'individuazione del bene giuridico protetto dalla fattispecie di peculato, che non ha una valenza elusivamente dogmatica.

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