lunedì 21 luglio 2008

Laicità dello Stato e laicismo


Relazione tenuta il 19-04-2008 presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose di S. Severo
(dott. Leonardo Mandunzio)




Premessa: La libertà di pensiero come presupposto della laicità

Il tema della laicità, con tutti i suoi aspetti più controversi, è tornato alla ribalta in Italia da quel fatidico 13 giugno 2005, data in cui i 4 referendum, promossi per l’abrogazione parziale della Legge n. 40/2004, che regola in Italia la fecondazione assistita, la diagnosi preimpianto e la ricerca sulle cellule staminali embrionali, non hanno superato il quorum, anche, grazie all’invito all’astensione fatto dalla Conferenza Episcopale Italiana (Cei) agli elettori cattolici.
Da quel momento, si è scatenato un vero e proprio linciaggio mediatico ai danni della Gerarchia ecclesiatica, colpevole di indebita ingerenza ai danni della laicità dello Stato italiano.
Orbene, a questo punto due domande diventano improcrastinabili:
- Che cos’è la laicità?
- Quand’è che uno Stato può definirsi veramente laico?
Originariamente, con il termine laico si designava, il fedele cattolico, il battezzato, che non era né sacerdote né, tanto meno, religioso.
La “scristianizzazione” del termine anzi detto, si comincia ad avere con l’avvento degli Stati moderni, sorti su due pilastri: il culto della dea ragione e il mito della “morte di Dio”.
Per dirla con Eliot:” Essi hanno cercato di evadere dal buio esterno ed interiore sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono” (1)
Da quel momento il termine laico verrà, impropriamente, contrapposto a quello di cattolico, diventando sinonimo di neutralità ed indifferenza nei confronti della Fede.
Il termine laicista invece indica gli anticlericali tout court, coloro che negano il diritto alla Chiesa di esprimersi sui temi etici.
Il caso del Papa alla “Sapienza” di Roma è emblematico in tal senso.
Questa vicenda ha dell’incredibile poiché: mettere in condizioni una persona di non poter esprimere il proprio pensiero è contro la legge suprema su cui si regge lo Stato italiano.
Infatti ai sensi dell’art. 21, comma I, Cost.: ”Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”
Si da il caso che il Pontefice, non costituisca eccezione a questa regola.
Peccato comunque per quei 67 docenti universitari (2) i quali boicottando Benedetto XVI hanno dato una pessima prova di laicità, violando palesemente la Costituzione repubblicana.
Chissà cosa avrebbe detto al riguardo, Voltaire, il quale affermava: “Non condivido le tue idee ma combatterò fino alla morte per difendere il tuo diritto di esprimerle”.
Reprimenda a parte, resta il fatto che la condotta dei 67 docenti ha fomentato gli studenti di sinistra provocando scontri e disordini all’interno dell’Ateneo romano.
Questa triste vicenda insegna che, senza la possibilità di esprimere in modo libero il proprio pensiero, non ci può essere laicità.
Pertanto, a ragion veduta, contrariamente a quanto affermano i post sessantottini, non sono Benedetto XVI o il cardinale Ruini, con le loro esternazioni a minare la laicità dello Stato, ma a farlo, sono semmai quei laicisti imbevuti di quella cultura giacobina che regna sovrana nelle università italiane.




1. Dio e Cesare. La sana laicità

«Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio.» (Marco 12,13-17).
Di solito, questa frase viene estrapolata dal contesto evangelico e mutuata dai laicisti per affermare la separazione tra la sfera religiosa (Dio) e la sfera pubblica (Cesare).
In realtà, Cristo “legislatore”, in questo passo evangelico, pone sì il principio della dicotomia dei due piani: il giuridico e il fideistico, ma non certo per affermare una separazione (intesa come intangibilità delle due sfere e quindi indifferenza), quanto per stabilire l’articolazione strumentale tra il primo e il secondo piano.
Per avere il giusto equilibrio tra il religioso e il pubblico non importa che lo Stato (Cesare) assuma volto e natura etici e confessionali; non occorre cioè che Cesare sia un credente.
“E’ sufficiente che ogni singolo Stato rispetti, nella sua legislazione terrena, quelle esigenze della persona, dei gruppi, della comunità che sono indicate dalla loro stessa umanità di vita; ad esempio, la legge dello Stato non potrà consentire, senza intervenire con la norma indicativa e con la punizione adeguata, che una persona tolga la vita ad un'altra (qui si presenta sintomatico il campione concettuale della pratica abortiva); non potrà imporre la sterilizzazione umana; non dovrà esigere tributi vessatori unicamente per paralizzare l'esercizio di un tipo di libertà di associazione; e via dicendo” (3).
Date a Cesare significa date ciò che è giusto che Cesare chieda; ma Cesare ha, a sua volta, una regola naturale che deve osservare e, a dimostrazione macroscopica dei suoi limiti e per evitare che possano esservi dubbi su questo punto, non potrebbe ad esempio pretendere di sopprimere la vita delle persone coi capelli biondi perché sgradite al potere.
In ultima analisi, lo Stato gode di piena autonomia per quanto riguarda la sua organizzazione politica ed un eventuale intervento della Chiesa in tale campo sarebbe un indebita ingerenza.
D’altra parte, la “sana laicità” comporta che lo Stato non consideri la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare nel solo ambito privato.
Al contrario, la religione essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica.(4)




2. La presenza della fede nell’ordinamento giuridico italiano

L’esempio dell’interazione del piano giuridico con il piano fideistico è riscontrabile nella Carta Costituzionale del 1948.
Infatti, essa riserva ben 4 articoli al fenomeno religioso.
Art. 7 - «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.»
Art. 8 - «Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti sono regolati per legge sulla base di intese con le relatìve rappresentanze.»
Art. 19 - «Tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale od associata, di fame propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.»
Art. 20 - «Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.»
A proposito dì questo ultimo articolo è facile rilevare come esso trovi la sua ispirazione nella volontà di impedire per l'avvenire provvedimenti legislativi persecutori contro gli enti ecclesiastici, come è avvenuto nel passato per le leggi eversive dell'asse ecclesiastico.
Ritornando poi all'art. 8, va osservato che esso costituisce un progresso rispetto allo Statuto Albertino per il quale le confessioni diverse dalla cattolica erano semplicemente «tollerate». Tuttavia permane una differenza fra la confessione cattolica e le altre confessioni.
Mentre nessun limite pone lo Stato all'organizzazione nel territorio italiano della Chiesa cattolica, all'infuori di quelli posti dalle leggi di attuazione dei Patti lateranensi, per le altre confessioni, invece, si esige espressamente che la loro organizzazione non contrasti coi principi dell'ordinamento giuridico del nostro paese.
In attesa che vengano stipulate le intese previste da tale norma, le leggi che disciplinano i rapporti con le confessioni non cattoliche sono la legge 24-6-1929 n. 1159 ed il R.D. 28-2-1930, n. 289 (rispettivamente legge e regolamento sui «culti ammessi»); tali testi legislativi però, a seguito dell'entrata in vigore della Costituzione, non possono trovare applicazione per le parti che risultino ora in contrasto con i principi da essa posti: ad esempio non è più richiesta l'autorizzazione governativa per l'apertura di templi ed oratori per l'esercizio del culto e non si richiede neanche che le riunioni religiose di culti acattolici siano obbligatoriamente presiedute od autorizzate da un ministro del culto, la cui nomina sia stata approvata dal Ministero competente.
La prima concreta attuazione all'art. 8 della Costituzione, per quanto riguarda l'adozione di intese, si è avuta con la legge 11-8-1984 n. 449, che ha dettato le «Norme per la regolazione dei rapporti tra lo Stato e le Chiese rappresentate dalla Tavola Valdese».
Per la verità, di provvedimenti adottati per legge sulla base di intese ve ne erano già stati nel nostro ordinamento: si tratta delle leggi n. 580/1961 e 669/1973, che estendevano ai ministri di culto delle varie confessioni le forme di assicurazione e di previdenza sociale previste per altri lavoratori. Si era trattato, peraltro, di accordi di portata assai limitata; l'intesa con la Tavola Valdese è invece un accordo globale che regola tutte le materie «comuni», in esatto parallelo con il Concordato con la S. Sede. Ed il parallelismo è stato assoluto anche nei tempi: l'apertura delle trattative per l'intesa fu annunziata, infatti, al Parlamento dall'allora presidente del Consiglio on. Andreotti, alla fine del 1976, contemporaneamente alla prima relazione sulle appena avviate trattative per la revisione del Concordato. E la firma dell'intesa ad opera del presidente del Consiglio Craxi e del moderatore della Tavola Valdese, Bouchard, è avvenuta il 21-2-1984, tre giorni dopo la sottoscrizione dell'accordo di revisione del Concordato.
Nell'iter parlamentare si è invece rotta questa contemporaneità.
Nell'agosto 1984 la legge di approvazione dell'intesa è stata approvata in via definitiva, mentre quella di ratifica del Concordato era votata solo da uno dei due rami del Parlamento (ed è stata approvata definitivamente solo nel marzo 1985).
L'approvazione della legge n. 449 non esaurisce affatto la questione delle intese con le confessioni diverse da quella cattolica. Essa riguarda, infatti, un numero limitato di chiese e di cittadini non cattolici; per le altre confessioni, diverse da quella cattolica e non rientranti nel Patto di integrazione stipulato fra le chiese valdesi nel 1975, rimane, quindi, in vigore la legislazione sui «culti ammessi» del 1929/30 di cui s'è detto.
Trattative per la stipulazione di un'intesa sono in corso dal 1977 con l'Unione delle comunità israelitiche e sono state avanzate richieste da numerose altre confessioni.
Ma il recepimento dei problemi connessi alla presenza fideistica nella vita del cittadino non si limitano a queste massime previsioni.
Un numero elevatissimo di norme, sparse un po' dovunque, si occupano della materia e tentarne l'elencazione sarebbe praticamente impossibile:
- nel TULPS si ritrovano norme circa la distribuzione di stampati, le questue, le cerimonie religiose e le processioni ecclesiastiche;
- nel T.u. della legge comunale e provinciale si ritrovano regole per le spese per gli edifici serventi al culto pubblico e per la salvaguardia degli interessi diocesani;
- nel T.u. delle leggi sul reclutamento dell'esercito vi sono norme apposite per il servizio alle armi di coloro che siano allievi di istituti cattolici in Italia o all'estero e che si trovino nelle missioni;
- del codice civile va’ rammentato l'art. 629, relativo alle «disposizioni in favore dell'anima»;
- del codice di procedura civile l'art. 5141 che dichiara assolutamente impignorabili le cose sacre e quelle che servono all'esercizio del culto;
- del codice penale gli artt. 61 n. 9 e 10, che della qualità di ministro del culto fanno una circostanza aggravante comune del reato, sia dal punto di vista attivo che passivo; l'art. 327 ult. comma, che considera tale qualità come motivo di specifica incriminazione del delitto di eccitamento e vilipendio delle istituzioni, delle leggi e degli atti dell'autorità, commesso da P.u.; gli artt. 402-406 che contemplano i delitti contro la religione cattolica e i culti ammessi;
- del codice di procedura penale in particolare vanno segnalate le norme che concernono l'esame testimoniale: v. l'art. 356, II comma, che prevede che, nell'ipotesi debba essere assunto in qualità di teste un cardinale, tanto debba avvenire nel luogo da lui designato; v. l'articolo 352, che prevede l'impossibilità di obbligare i ministri della religione cattolica o di culto ammesso nello Stato a deporre «su ciò che fu loro confidato o è pervenuto a loro conoscenza per ragioni del proprio ministero»; particolarmente interessante in merito la sentenza della sez. I della Corte di Cassazione del 17-12-1953, che ha stabilito come il ministro del culto cattolico abbia facoltà di astenersi dal deporre su ciò che gli viene confidato sotto il sigillo della confessione anche se il confidente lo abbia sciolto dal vincolo.
Accanto alle norme scritte, riprova vitale della continua intersezione fra mondo del diritto e mondo della fede è l'esistenza di strutture amministrative specificatamente create per occuparsi dei loro rapporti.
Com'è noto, con due RR.DD. del 1932 venne operato il passaggio dei servizi concernenti gli affari di culto dal Ministero della giustizia a quello dell'interno, devolvendo, per quanto riguarda l'amministrazione periferica, i poteri e le facoltà, già spettanti alle procure generali presso le corti d'appello, alle prefetture.
Presso il Ministero dell'interno sono costituite la Direzione generale degli affari di culto (che interviene, fra l'altro, nella disciplina giuridica e nel controllo sulla attività economica degli enti ecclesiastici) e la Direzione generale del fondo per il culto e del Fondo di religione e di beneficenza per la città di Roma, che amministra patrimoni legati alla materia ecclesiastica; le prefetture godono poi di competenze per l'esercizio della vigilanza su tutte le istituzioni di culto comprese nella circoscrizione territoriale, per il compimento delle istruttorie relative a tutti gli affari in materia di culto, per le autorizzazioni per gli acquisti a titolo oneroso o gratuito da parte degli enti ecclesiastici al di sopra di un certo valore etc.







3. Lo Stato laico è rispettoso delle radici culturali-religiose del popolo italiano

All’indomani dell’unità d’Italia, Massimo d’Azeglio pronunciò la celebre frase: ”L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani”.
Questa locuzione testimonia il tipico giro mentale degli ideologi a tavolino, che creano quel che prima non c’era (5).
Dunque a sentir d’Azeglio non c’erano né l’Italia nè gli italiani prima del Risorgimento.
Mai affermazione fu più sbagliata in quanto gli italiani erano “fatti” già da tempo….
Ovviamente, l’italianità non era nè una questione di confini e né tanto meno di lingua.
Cos’è che teneva unito un pescatore di Mazara del Vallo con un contadino di Brescia prima del 1861?
Non certo il medesimo Stato, dato che il primo era un suddito del Regno delle Due Sicilie e l’altro del Lombardo-Veneto, nè benché meno la stessa lingua, in quanto la penisola pullulava di dialetti-lingue eterogenei.
Ciò che teneva uniti questi due uomini, così come i loro antenati era semplicemente il Cristianesimo.
Infatti, la tradizione cristiana, cominciò a rappresentare il collante dei popoli italici fin dall’Editto di Costantino nel 313 D.C. (6) per poi perpetuarsi nel corso dei secoli.
Nemmeno con la fine dell’unità politica avvenuta con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 D.C.), gli abitanti della penisola Italica, smarrirono questo legame.
Anzi, seppur dispersi in mille Comuni, e governati da mano straniera, rimasero sempre un sol popolo in virtù della fede in Cristo.
In spregio a questa realtà, e con l’intento di creare uno stato massone, nel 1861, Garibaldi, consegnava l’Italia nelle mani del Conte di Cavour e di Vittorio Emanuele II, rispettivamente, primo ministro e sovrano del Regno di Sardegna (lo stato meno italiano di tutti)
Questi ultimi, dopo anni di sforzi, riuscirono finalmente nell’intento di creare un “Grande Piemonte” mascherandolo in Regno d’Italia: i soldi per annettere (7) le rimanenti regioni italiche li trovarono espropriando in primis i beni allo Stato Pontificio;
Ma l’impresa di creare uno Stato neutro e massone naufragò miseramente in quanto XV secoli di cristianesimo non furono facilmente liquidabili, nemmeno prendendo a cannonate Porta Pia.
Dopo l’8 settembre 1943 ci provarono i partigiani comunisti della “Brigata Garibaldi”, a fare piazza pulita di preti (8), e a sradicare l’identità cristiana degli italiani, ma anche qui il tentativo fallì per la forte resistenza popolare.
La Repubblica italiana sorta nel 1946, rinunciava all’idea della neutralità tout court, ossia dell’indifferenza verso il fenomeno religioso tanto che la Costituzione del 1948 riconosceva non solo formalmente ma anche sostanzialmente queste radici così forti e questo legame antico con i successori di Pietro, pur comprendendo e tutelando tutte le altre religioni.
Alla luce di questa premessa storica, la Corte Costituzionale sollecitata più volte sul tema, affermava nel 1989, che il principio di laicità «implica non indifferenza dello Stato dinnanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale»; infatti «l’attitudine laica dello Stato-comunità… risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione dello Stato persona, o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione o ad un particolare credo, ma si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini» (9)
Nonostante il dictum della Corte Costituzionale, la questione della laicità rimase sempre aperta, arricchendosi di ulteriori contrasti creati ad hoc dai laicisti per tentare di espungere dalle Istituzioni le radici cristiane.
Il fronte, si spostò, quindi, sui simboli del cattolicesimo e la “querelle” sul crocifisso è emblematica in tal senso.
Già nel 1988 il Consiglio di Stato si era occupato “della questione del crocifisso” con un Parere (n. 63) che, nel ritenere ancora in vigore le disposizioni sull'esposizione contenute nei Regi decreti risalenti agli anni '20, aveva toccato gran parte dei temi evocati e suscitato un ampio e serrato dibattito tra i fautori della liceità/opportunità dell'esposizione e i sostenitori della opposta posizione.
Ad infiammare il dibattito in Italia e ad indirizzare la Suprema Corte verso la rimozione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici fu una dichiarazione di incostituzionalità dell'esposizione obbligatoria di croci o crocifissi nelle aule delle scuole pubbliche elementari prevista da un regolamento del Land della Baviera (10)
A cui seguì la presa di posizione in tal senso:
a) della Corte di Cassazione, la quale, con la pronuncia del 1 marzo 2000, n. 439 assolveva uno scrutatore che si era rifiutato di prestare l'ufficio a cui era stato chiamato perché nel seggio presso il quale era stato nominato, un'aula scolastica, era presente un crocifisso;
b) del Tribunale dell’Aquila, il quale, ordinava la rimozione del crocifisso da un'aula scolastica del comune di Ofena (Tribunale di l'Aquila, 23 ottobre 2003);
L'ordinanza della Corte Costituzionale n. 389/2004, con le sue argomentazioni strettamente tecniche, trattò la questione in maniera “pilatesca” suggerendo un generale abbassamento dei toni.
A mettere la parola fine su questa “querelle” fu il Consiglio di Stato, il quale statuiva che:
“Il crocifisso è un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi: se in un luogo di culto esso è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso, nelle aule scolastiche esso è, invece, un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana e delineano, secondo i principi espressi dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost., la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato. Sicché la decisione delle autorità scolastiche, in esecuzione di norme regolamentari (art. 118 R.D. n. 965/1924), di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche, non appare censurabile con riferimento al principio di laicità proprio dello Stato italiano” (11)
Questa sentenza chiarisce definitivamente due concetti fondamentali:
1) Lo Stato laico non può essere uno stato neutro ed indifferente verso il fenomeno religioso.
2) Il crocifisso è un valore della civiltà italiana ed al contempo il simbolo della tolleranza per altre fedi.



4. Il laicismo cattolico

“Voi siete nel mondo, ma non siete del mondo” (Gv 15-19)
Questo passo evangelico la dice lunga sulla modalità d’impegno che dovrebbe contraddistinguere i cattolici quando si interessano della polis.
Soprattutto sui temi etici, l’elettorato cattolico sia attivo che passivo non dovrebbe assecondare le logiche del mondo e invece…..
…Puntualmente da quarant’anni, l’associazionismo cattolico si divide, e la divisione, sappiamo che è segno del maligno.
La questione parte dal 1968, anno di pubblicazione dell’enciclica Humanae Vitae, con la quale il Servo di Dio Paolo VI, pronunciava il celebre “non possumus” sancendo l’illiceità su ogni forma di regolazione delle nascite, ricordando la doppia natura del matrimonio: unitivo e procreativo.
Nella stessa si affermava inoltre che la Chiesa non insegna soltanto quanto rivelato da Dio attraverso le sacre scritture, ma anche quanto riguarda la natura, perché Dio che si è rivelato in Cristo è lo stesso che ha creato l’uomo e il mondo, iscrivendo nella creazione una legge appunto naturale, finalizzata al bene supremo, che è Dio stesso, e il cui rispetto comporta anche il benessere (lo “stare bene”) della società.
Roba da antiquariato, per certi teologi progressisti, i quali seguiti da una buona fetta di episcopato e laicato cattolico, manipolando i contenuti riformatori del Concilio Vaticano II affermarono che la chiesa post-conciliare doveva voltare pagina, essere al passo con i tempi, ma soprattutto non intromettersi più nelle questioni pubbliche.
Per attuare questo progetto, hanno coniato la “scelta religiosa” con la quale hanno reso innocua e docile l’Azione Cattolica, relegando nelle sacrestie a svolgere compiti propri dell’oratorio, colei che aveva con PierGiorgio Frassati, Alberto Marvelli, Armida Barelli e tanti altri….realizzato “materialmente” il fine apostolico della Chiesa con l’impegno civile e politico, sempre a fianco della Gerarchia ecclesiatica (come del resto recita ancor oggi l’art. 1 dello statuto di A.C.)
E’ opportuno al riguardo ricordare a quei cattolici che hanno perso la memoria storica, che senza l’azione capillare, parrocchia per parrocchia, dei Comitati Civici, promossi dall’Azione Cattolica di Luigi Gedda, la Democrazia Cristiana di De Gasperi nelle elezioni del 1948 difficilmente si sarebbe affermata e l’Italia di conseguenza sarebbe finita nel blocco sovietico!
Altro che calciobalilla e ping pong degli anni ‘70!
Sul semplice piano contabile, il risultato della «scelta religiosa» (12) fu il crollo delle iscrizioni all’Azione Cattolica, che passarono da tre milioni a seicentomila.
Ma, sul piano umano, data la rete capillare di cui l’associazione disponeva nelle parrocchie, il risultato fu una formazione sempre più intimistica e intellettuale che condusse i cattolici a pensare di poter fare ognuno per sé o per la propria parte politica: in sostanza, a non essere più Chiesa.
All’inizio, solo sul piano dell’azione; poi anche su quello della teologia e della dottrina.Infatti, gli istituti del divorzio e dell’aborto, diventarono legge dello Stato grazie al voto di una parte cospicua dei cattolici, gli stessi che appoggiarono Rosy Bindi, circa un’anno fa, nella proposizione del disegno di legge sui DICO.
La stessa On. Bindi, esponente di spicco del cattolicesimo-democratico (corrente risalente a Dossetti che si pone l’obiettivo di trovare una sintesi tra il Vangelo e il Mondo), interpellata sui DICO affermava: «Io amo pensare alla Chiesa che si occupa delle cose di Dio», invitando cortesemente i vescovi a farsi gli affari propri, aggiungendo altresì, che il compito della politica non é affermare una verità e un bene sull’uomo, ma raggiungere un punto di sintesi.
In realtà, “nell’esistenza di un laico-cattolico non possono esserci due vite parallele: da una parte la vita cosiddetta spirituale con i suoi valori e le sue esigenze; e dall’altra la vita cosiddetta “secolare”, ossia la vita di famiglia e di lavoro, dei rapporti sociali e dell’impegno politico e della cultura.
Tutti i campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come “luogo storico del rivelarsi e del realizzarsi dell’amore di Gesù Cristo a gloria del Padre e del servizio dei fratelli” (13) .
Pertanto non è importante per il laicato cattolico essere di Comunione e liberazione anziché di Azione cattolica, o della Comunità di Sant’Egidio oppure dei Focolarini……… così come non era importante duemila anni fa essere di Pietro o di Paolo…..
Di vitale importanza è che tutto l’associazionismo cattolico, non segua se stesso ma il Santo Padre alla stessa stregua degli Apostoli, i quali pur nella loro diversità di carismi hanno seguito Cristo, senza condizioni e sino alla fine!


5. Il Diritto non è la normazione del desiderio umano. La questione della famiglia e la decisione di coscienza degli Onorevoli Palmiro Togliatti e Leonilde Iotti.


In un epoca storica, in cui la brama dei desideri cresce smodatamente giorno dopo giorno: si pensi alla pratica della zoofilia, legale in Olanda fino al 14 marzo scorso, al partito dei pedofili (NVD Amore del prossimo, libertà e diversità) che vuole introdurre la liberalizzazione della pornografia infantile e i rapporti sessuali tra adulti e bambini, o alla legge introdotta da poco, sempre dal Parlamento di Amsterdam che permette di fare sesso nei parchi.
Ormai siamo vicini alla rottura delle regole e al ritorno dell’homo homini lupus!
Di fronte a questo irrefrenabile decadentismo civile e morale verrebbe da chiedersi, ma cosa ne è stato del diritto!
S. Tommaso d’Aquino, con un acume da fine giurista asseriva che “la legge è un ordinamento della ragione rivolto al bene comune, proclamato da colui che ha il governo di una comunità” (14)
Ma il concetto di bene comune è stato progressivamente sostituito dal concetto di bene individuale, inteso come coacervo di impulsi, passioni e desideri che vanno a collidere contro ogni tipo di organizzazione umana.
Questo spostamento del diritto dall’oggetto al soggetto ha portato all’asservimento dello stesso ai desideri dell’Uomo distogliendolo dalla sua funzione primaria: produrre leggi sempre più perfette che assicurino ed educhino gli uomini alla convivenza come comunione (15)
In sintesi, il diritto in uno Stato laico dovrebbe promuovere l’affermazione dell’Uomo “in quanto è” e non dei suoi impulsi”
In Italia, il dibattito sull’allargamento della platea dei diritti individuali ha toccato principalmente la famiglia, e, a differenza di quanto affermano i promotori del disegno di legge sui DICO (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi) nel nostro Paese sostanzialmente, esiste già il diritto di convivere più o meno stabilmente con chicchessia.
Il nostro ordinamento giuridico infatti ammette tre tipi di convivenze:
1)Famiglia legittima fondata sul matrimonio civile o concordatario
2)Convivenza “more uxorio” riguardante coppie etero-sessuali
3)Convivenza di tipo omosessuale
Delle tre, solo la prima e disciplinata dalla Costituzione, la quale all’art. 29 statuisce che: ”La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
Inoltre la stessa Carta costituzionale, proprio per l’alto compito che riconosce alla famiglia fondata sul matrimonio, pone ai governi che si succedono nel corso delle legislature l’ulteriore obbligo di “agevolarne” la formazione.
Difatti l’art. 31 recita: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose.
Protegge la maternità e l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo
Badate bene, la nostra Costituzione, non è di natura confessionale, non l’ha redatta il Sommo Pontefice, bensì costituenti di varie estrazioni culturali: liberali-cattolici-azionisti-socialisti-comunisti, i quali hanno saputo ragionevolmente riconoscere nella famiglia la cellula embrionale dello Stato.
In seno all’Assemblea Costituente, si occuparono della redazione dell’art. 29 tra gli altri:
A. Moro (DC), P. Togliatti e L. Iotti (PCI), L. Basso e P. Rossi (PSI), F. Lucifero (monarchici), Mastrojanni (Uomo qualunque)…..insomma politici eterogenei tra di loro…
La formula: ”La famiglia è una società naturale” fu adottata dalla I sottocommissione quasi all’unanimità su proposta dell’On. Togliatti.
Per “naturale” s’intende, sempre a detta dei padri costituenti: ”Escluso che qui naturale abbia un significato zoologico o animalesco, o accenni ad un legame puramente di fatto, non si vuol dire con questa formula che la famiglia sia una società creata al di fuori di ogni vincolo razionale ed etico. Non è un fatto la famiglia, ma è appunto un ordinamento giuridico…con le sue leggi e i suoi diritti…. di fronte al quale lo Stato si deve inchinare. (16)
Qui si evincono due principi fondamentali:
1) esclusione di un legame di fatto
2) ente razionale etico
Colpisce come dei “non credenti”, militanti nel Partito Comunista Italiano, come gli On.li Palmiro Togliatti e Leonilde Iotti, legati in questo periodo da una relazione sentimentale (17), diremmo oggi, “di fatto”, non abbiano tentato di introdurre nell’art. 29 l’equiparazione tra la famiglia fondata sul matrimonio e la convivenza “more uxorio”, votando, altresì, in favore della prima.
Molti, potrebbero addurre come causa del loro comportamento, la non maturità dei costumi italiani per recepire una simile scelta.
Ma la verità è un’altra!
A prescindere dalla loro ideologia, questi due eminenti personaggi hanno sempre avuto nel corso della loro esistenza un forte senso dello Stato Apparato e siccome quest’ultimo è solido quando ha un tessuto di famiglie certe e stabili, hanno optato per l’unica soluzione ragionevole capace di assicurare un futuro alla società italiana.
Questo vuol dire, cio che Benedetto XVI definisce “allargare la ragione”.
Ecco perché, la Costituzione garantisce e favorisce solo la famiglia fondata sul matrimonio, per i suoi caratteri di certezza e stabilità.


6. Pace: Non solo diritti ma anche doveri umani.

Sembra incredibile ma nel 2008, si insiste ancora sul vecchi cliché culturali, tra i quali l’assolutismo della Ragione.
Eppure il XX secolo ha dimostrato ampiamente che:
-una ragione senza fede genera mostri come le ideologie totalitarie (nazismo, fascismo e comunismo) e due guerre mondiali;
-una fede senza ragione fomenta i fondamentalismi e la jihad.
La “relativizzazione” e la perdita dell’identità da parte degli Stati occidentali costituisce un grave ostacolo sul cammino del dialogo e della Pace con gli altri popoli della Terra.
Prima di porsi il problema del dialogo con un’altra religione o più in generale con quisque de populo, occorrerebbe preliminarmente conoscere le proprie radici culturali e religiose, onde evitare di andare incontro all’altro senza memoria, con il fondato rischio di farsi colonizzare o di relativizzare le fondamenta!
Atteggiamento da scongiurare in quanto il sistema democratico che si vorrebbe esportare su scala planetaria esige la comunione tra le diverse identità presenti che convivono nel rispetto di un quadro normativo formato da diritti e doveri.
La Pace su questa Terra è possibile, a patto che si fondi su pilastri stabili, altrimenti sarà sempre la solita tregua tra due conflitti.
I diritti umani, quelli per intenderci codificati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, sono di per sè insufficienti per creare un’ordine stabile nel mondo.
Affinché ci sia equilibrio occorrerebbe creare un sistema di check and balances che rispetti la legge naturale: quella che Dio ha inscritto nel cuore di ogni Uomo (credente o ateo).
“Il cuore di un ragazzo giapponese infatti è lo stesso di un ragazzo italiano. Esprime le stesse domande e la stessa sete di Verità “ (18).
Urgono insomma anche i doveri umani, come “il rispetto della vita dal concepimento fino al termine naturale, diritti dell’embrione, libertà di educazione, tutela sociale dei minori, promozione della famiglia (fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e stabilità a fronte delle moderni leggi sul divorzio), liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù (droga, sfruttamento della prostituzione), libertà religiosa, sviluppo di un economia che sia a servizio della persona” (19)
L’esperienza insegna quindi che Ragione e Fede prese singolarmente non bastano.
Pertanto, la sfida di questo nostro tempo, lanciata dal grande Papa Benedetto XVI e raccolta da un sempre maggiore numero di intellettuali e politici, non solo di casa nostra, è quella di “allargare la ragione” (20) in modo da permettere alla fede di illuminarla.
Solo in questo modo riusciremo nell’intento di creare una società rispettosa dell’Uomo.
Fede e Ragione, in estrema sintesi, non sono entità incompatibili, come vorrebbero far credere i laicisti (21) ma interagiscono continuamente avendo come trade-union, il diritto, strumento essenziale, per dare un ordine alle cose.



Conclusioni.

Orbene, al termine di questo excursus, che ha posto in evidenza il valore di una sana laicità, che non pregiudica i non credenti e di converso i limiti di un laicismo ottuso e cieco, possiamo riassumere quanto nella trattazione emerso, come segue:
-In primis, non ci può essere uno Stato laico, anzi non si può parlare nemmeno di laicità senza la garanzia che tutti possano esprimere liberamente il proprio pensiero;
-La laicità non è indifferente nei confronti della Fede e non costituisce una cappa neutra da calare indifferentemente sullo Stato x anziché quello y. Essa deve essere permeabile alle specifiche tradizioni culturali e religiose che variano da popolo a popolo, da nazione a nazione e che non possono essere misconosciute;
-Il diritto in uno Stato laico non è la normazione dei desideri dell’Uomo ma è uno strumento atto ad affermare l’Uomo “in quanto è”;
-Lo Stato laico non può essere mai una conventio ad excludendum perchè la “sana laicità” include tutti sia i credenti che i non credenti

(1) ELIOT T.S., Cori da “La Rocca”, ed. Bur
(2) "Magnifico Rettore, con queste poche righe desideriamo portarLa a conoscenza del fatto che condividiamo appieno la lettera di critica che il collega Marcello Cini Le ha indirizzato sulla stampa a proposito della sconcertante iniziativa che prevedeva l'intervento di papa Benedetto XVI all'Inaugurazione dell'Anno Accademico alla Sapienza. Nulla da aggiungere agli argomenti di Cini, salvo un particolare. Il 15 marzo 1990, ancora cardinale, in un discorso nella citta di Parma, Joseph Ratzinger ha ripreso un'affermazione di Feyerabend: "All'epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto". Sono parole che, in quanto scienziati fedeli alla ragione e in quanto docenti che dedicano la loro vita all'avanzamento e alla diffusione delle conoscenze, ci offendono e ci umiliano.In nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo aperto a docenti e studenti di ogni credo e di ogni ideologia, auspichiamo che l'incongruo evento possa ancora essere annullato".
Tra i firmatari, i fisici Andrea Frova, autore con Mariapiera Marenzana di un libro su Galileo e la Chiesa, Luciano Maiani, da poco nominato presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), Carlo Bernardini, Giorgio Parisi, Carlo Cosmelli.
(3) LIVATINO R., Fede e Diritto Relazione svolta nella sala-conferenze dell’Istituto delle Suore Vocazioniste a Canicattì, il 30 aprile 1986
(4) UNIONE GIURISTI CATTOLICI ITALIANI, Il Papa ai giuristi cattolici: la Chiesa sostiene una “sana laicità”. Ma oggi c’è un laicismo che vuole confinare Dio nel privato, 09-12-2006
(5) PELLICCIARI A., Risorgimento anticattolico, ed. Piemme; CAMMILLERI R., Il Risorgimento dei persecutori
(6) LATTANZIO, De mortibus persecutorum,cap. XXIV, XXV
(7) PAGANO A. Due Sicilie. 1830-1880. Cronaca della disfatta- ed. Capone, 2002
(8) BERETTA R., Storia dei preti uccisi dai partigiani, ed. Piemme, 2005
AA.VV. Testimoni della verità nell’Italia in guerra,ed. Itaca, 2007
(9) CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza n. 203/1989
(10) BUNDESVERFASSUNGSGERICHT-Erster Senat, 16 maggio 1995
(11) CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 13/02/2006 n. 556
(12) PALMARO M., GNOCCHI A, Quei cattolici rinnegati, pubblicato su Il Giornale n. 43 del 20-02-2007
(13) CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, EDB, Bologna, 2003
(14) I QUADERNI DELLA SUSSIDIARIETA’, Famiglia e Dico:una mutazione antropologica? Ed. Tracce, 2007
(15) GIUSSANI L., Il cammino è al vero un esperienza, rcs libri, 2006
(16) ASSEMBLEA COSTITUENTE, Commissione per la Costituzione, Resoconto Sommario della seduta di mercoledì 15-01-1947
(17) CORRIERE DELLA SERA, Archivio storico, Iotti Togliatti una love story più forte del PCI, 19-07-1993 p.5
(18) CAMPAGNOLI N., Convegno sul Rischio educativo di don L. Giussani, Lesina (Fg) 16-03-2007
(19) CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, EDB, Bologna, 2003 p. 13
(20) HABERMAS J.- RATZINGER J. Ragione e fede in dialogo, ed. Marsilio, 2005
(21) HUME D.Dialoghi sulla religione naturale, ed. il nuovo melangolo, 1996
ODIFREDDI, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici) ed. longanesi, 2007, AUGIAS C.- PESCE M., Inchiesta su Gesù. Chi era l'uomo che ha cambiato il mondo, ed. Mondatori, 2006

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