lunedì 4 agosto 2008

ISTAT: Il divorzio è consensuale nel 77,6% dei casi - e le donne prendono l'iniziativa


Sono soprattutto le donne a prendere l'iniziativa e, anche se molto raramente si affronta senza avvocato, la gran parte dei divorzi e delle separazioni avviene consensualmente. A fotografare de tendenze dell' ''l'instabilita' coniugale'' l'Istat che in un volume offre un approfondimento tematico sul fenomeno della rottura del matrimonio ufficializzata attraverso la separazione legale o il divorzio.
La maggior parte dei procedimenti di separazione legale o divorzio, rileva l'Istituto di statistica, avviene consensualmente, rispettivamente nell'85,5 e nel 77,6 per cento dei casi.
La quota piu' elevata di procedimenti giudiziali che si osserva nei divorzi (nel 2005 il 22,4 per cento contro il 14,5 per cento riferito alle separazioni) puo' essere spiegata da un atteggiamento dei coniugi meno conciliante ed incline a situazioni di compromesso dovuto all'eta' piu' elevata dei figli, alle eventuali nuove realta' di vita nonche' all'esigenza di regolare definitivamente eventuali situazioni rimaste in sospeso al momento della separazione.
La quota di procedimenti giudiziali, rileva ancora l'Istat, aumenta all'aumentare della durata del matrimonio, mentre quella dei procedimenti consensuali e' maggiore per gli eventi che provengono da matrimoni piu' recenti.
Maggiore e' la durata del matrimonio, piu' alta e' la probabilita' che i rapporti affettivi e gli interessi patrimoniali ed economici tra i coniugi siano piu' complessi e difficili da regolare. L'instabilita' coniugale riferita a matrimoni di breve durata coinvolge piu' facilmente coniugi piu' giovani, piu' istruiti ed economicamente indipendenti; tutti fattori, questi ultimi, che possono essere inseriti fra quelli che concorrono a favore di una gestione piu' pacifica della crisi coniugale.
I dati del biennio 2004-2005 mostrano, inoltre, prosegue l'Istat che le separazioni con almeno un coniuge alle seconde nozze si dimostrano meno conflittuali rispetto quelle di coniugi entrambi al primo matrimonio.
La quota di procedimenti giudiziali scende infatti nel primo caso al 9,4% del totale rispetto al 14% riscontrato nelle separazioni in cui entrambi i coniugi dichiarano lo stato civile di celibe o nubile. Nelle separazioni di coppie miste, che sono una realta' in crescita nel nostro paese, si osserva, invece, una conflittualita' maggiore (la quota di cause giudiziali nel 2005 e' pari a circa il 17 per cento dei casi) rispetto a quella riscontrata nelle separazioni di coniugi entrambi italiani (14,2 per cento).
Le coppie miste, inoltre, vanno incontro alla separazione piu' precocemente delle altre. La durata media dell'unione coniugale alla richiesta di separazione e' pari a otto anni nelle coppie miste formate da un cittadino italiano e da uno straniero, contro i 14 riscontrati nelle separazioni di coniugi entrambi cittadini italiani per nascita.
I matrimoni fra un cittadino italiano per nascita e l'altro con cittadinanza italiana acquisita durano mediamente 11 anni.
Per quanto riguarda il ricorso all'assistenza legale, sono pochi i coniugi italiani che affrontano la separazione o il divorzio senza essere assistiti da un legale (rispettivamente il 23,3 e il 19,4 per cento). Anche nelle separazioni consensuali, che presuppongono l'accordo dei coniugi e si caratterizzano per la maggiore semplicita' del procedimento, circa un quarto dei coniugi non solo non rinuncia all'assistenza di un legale, ma dichiara di averne uno personale.
Sulle scelte della coppia relative all'assistenza legale possono incidere anche le diverse prassi e consuetudini che, spesso anche a causa della genericita' delle normative, contraddistinguono i 165 tribunali italiani.
La presenza di figli da affidare spinge i coniugi ad una maggiore cautela nell'affrontare i procedimenti giudiziari, che si riflette nell'aumento del ricorso della coppia all'assistenza legale e, in particolare, in un aumento dei casi in cui entrambi i coniugi scelgono di farsi rappresentare da un avvocato scelto individualmente, anche a tutela di aspettative e richieste sull'affidamento in conflitto tra i genitori.
Per quanto riguarda l'iniziativa del procedimento, i dati del 2005 confermano che a intraprendere piu' frequentemente l'iniziativa della separazione sono le mogli (71,7 per cento dei casi aperti in modo contenzioso), mentre i mariti attivano nella maggioranza dei casi il procedimento di divorzio (56,3 per cento dei casi aperti giudizialmente).
Tuttavia, la differenza tra le domande di divorzio attivate dal marito e quelle attivate dalla moglie e' progressivamente diminuita nell'ultimo decennio, anche a seguito dei cambiamenti socioculturali e dell'aumentata autonomia ed indipendenza della donna. In generale nelle separazioni la quota di procedimenti chiusi consensualmente o con rito giudiziale sostanzialmente non cambia in presenza o meno di figli affidati.
Nei divorzi nei quali il ricorso al rito giudiziale e' comunque piu' alto di quello osservato nelle separazioni in presenza di figli affidati la quota di procedimenti chiusi con rito ordinario aumenta di oltre tre punti percentuali rispetto ai casi senza affidamento dei figli (24,2 per cento contro il 20,9 per cento).
L'aumento della conflittualita' registrato nei divorzi con figli minori e' imputabile ai casi di affidamento esclusivo, in particolare a quelli di affidamento al padre, nei quali la quota di procedimenti chiusi con rito ordinario sale fino al 30,4 per cento.
In assenza di figli affidati la quota di domande di separazione presentate dal marito aumenta, attestandosi al 31,6 per cento del totale contro il 21 per cento in caso di presenza di figli affidati.
Analoghe considerazioni valgono rispetto ai divorzi. La presenza di figli oggetto di affidamento sembra frenare l'iniziativa dei mariti, a meno che questi non agiscano per risultare poi affidatari dei minori. In questo caso la quota di domande attivate dal marito sale al 47 e al 72,2 per cento, rispettivamente nelle separazioni e nei divorzi con figli affidati al padre.
La quota di domande presentate dalla moglie e' invece maggiore, sia nelle separazioni che nei divorzi, in presenza di figli affidati rispetto ai casi di assenza di figli oggetto di affidamento. Non tutti i coniugi che si separano legalmente, avverte l'Istat, arrivano al divorzio.
Su dieci separazioni pronunciate in Italia nel 1995, circa quattro non sono proseguite verso il divorzio nel decennio successivo, senza che cio' portasse necessariamente ad una ricomposizione dell'unione coniugale
Se, pero', si decide di passare dallo stato di separato a quello di divorziato, nella maggior parte dei casi lo si fa nei tempi minimi previsti dalla legge: nel 47,5 per cento dei divorzi concessi nel 2005 l'intervallo di tempo intercorso tra la separazione legale e la successiva domanda di divorzio e' stato di tre anni, e di quattro anni nel 16,3 per cento dei casi; le percentuali poi diminuiscono man mano che l'intervallo diviene piu' lungo.
La tendenza a ricorrere alla separazione o al divorzio, rileva ancora l'Istituto di statistica, non e' uniforme sul territorio nazionale: nel 2005 al Nord si rilevano 6,2 separazioni e 4,0 divorzi ogni mille coppie coniugate contro 4,2 separazioni e 1,8 divorzi nel Mezzogiorno. L'Italia e' un paese dove permangono difformita' a livello regionale sia di comportamenti e di sistemi di valori, che di condizioni socio-economiche.
Il fenomeno dell'instabilita' coniugale non fa eccezione; e' sempre stata piu' diffusa nell'Italia settentrionale e centrale rispetto al Mezzogiorno: era cosi' nel 1970, ed e' cosi' nel 2005.
Nel corso degli ultimi 35 anni, la curva e' salita, a livello assoluto, piu' rapidamente al Nord e al Centro piuttosto che nel Meridione: l'incremento medio tra le annate e' rispettivamente 5,5, 5,3 e 2,9. Le spiegazioni per le differenze regionali nel nostro Paese possono essere molteplici.
La piu' importante e' relativa ai diversi tassi di occupazione femminile, che influenzano la diffusione dell'instabilita' coniugale. Un'altra motivazione puo' essere legata ai diversi livelli di partecipazione religiosa. Nel Mezzogiorno, inoltre, tende ad essere diffuso un sistema maggiormente tradizionale di relazioni familiari in cui l'indissolubilita' del matrimonio e la struttura gerarchica della famiglia hanno ancora un certo peso rispetto al resto dell'Italia.
Per quanto riguarda il titolo di studio, spiega l'Istat, all'inizio degli anni ottanta la separazione era maggiormente diffusa nella popolazione laureata; invece, nel biennio 2004-2005 il quoziente di separazione piu' alto e' quello degli individui con un diploma di scuola media superiore.
Si puo' notare che il quoziente relativo ai laureati e' rimasto stabile per un quindicennio ed ha iniziato a salire solo negli ultimi dieci anni.
Tra gli individui con licenza di scuola media inferiore il quoziente di separazione resta minore che tra i laureati, anche se negli ultimi venticinque anni la differenza si e' ridotta.
La diffusione della separazione tra gli individui con licenza elementare o privi di titolo di studio era modesta venticinque anni fa e lo rimane ancora oggi: tra le donne non si registrano mutamenti di rilievo nell'arco temporale in esame, mentre tra gli uomini vi e' solo una leggera crescita.
La diversa incidenza dei casi di separazione secondo l'istruzione puo' essere osservata anche analizzando la combinazione dei titoli di studio dei coniugi. Il quoziente di separazione e' maggiore nelle coppie in cui la moglie e' piu' istruita del marito, decresce se i coniugi hanno lo stesso titolo di studio ed e' piu' basso in assoluto nel caso sia il marito ad essere piu' istruito della moglie.
Relativamente alla condizione professionale, l'indicatore piu' adatto per analizzare la diversa incidenza della separazione legale secondo tale caratteristica e' il quoziente di separazione specifico per condizione professionale dei coniugi.
Tale indicatore segnala che, all'interno di coppie nelle quali almeno uno dei coniugi e' privo di un impiego, il quoziente di separazione e' nettamente piu' alto che nelle coppie in cui sia il marito che la moglie lavorano. Dunque, sembra che nel nostro Paese, almeno in tempi recenti, l'instabilita' coniugale sia proporzionalmente piu' diffusa tra coloro che sperimentano situazioni di disoccupazione.
L'incidenza della separazione e' piu' elevata in assoluto nelle coppie in cui entrambi i coniugi sono disoccupati, e nelle coppie in cui la moglie lavora e il marito risulta privo di un impiego.
Quest'ultimo dato, per certi versi, conferma quanto emerso tramite il quoziente di separazione per combinazione di istruzione dei coniugi: l'incidenza della separazione e' maggiore nelle coppie in cui i ruoli e le gerarchie ''deviano'' da una divisione di genere in cui il marito ha il ruolo di principale (o unico) percettore di reddito.
Nelle coppie in cui la moglie si dedica al lavoro familiare il quoziente di separazione e' poco meno della meta' rispetto alle coppie in cui entrambi i coniugi sono occupati nel mercato del lavoro.
Il dato non e' troppo diverso sia che il marito sia occupato, sia che stia cercando un impiego.
L'incidenza piu' bassa dell'evento separazione si registra se entrambi i coniugi sono ritirati dal lavoro.

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