E' ormai prassi consolidata chiamare il nascituro con nomi di fantasia, esotici o sostantivi, che fino ad un decennio fà, indicavano solo i neonati di sesso maschile.
Ma fino a dove può spingersi l'arbitrio dei genitori nella scelta del nome da dare ai figli?
In tale caso si può parlare di diritto potestativo o mera potestà?
***
Esaminiamo il Codice Civile e la Giurisprudenza recente
Il diritto al nome, in proposito, è oggetto di analisi da parte della giurisprudenza e della dottrina. I casi che si presentano all’attenzione dei giuristi nascono da un diritto primario dell’individuo, quello all’identità personale che è contemplato dal codice civile, agli artt. 6 e ss. Si afferma, innanzitutto, che «ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome.
Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati».
L’art. 7, al contrario, prevede che «la persona, alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni. L'autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali».
Recentemente la giurisprudenza ha dovuto occuparsi del nome attribuito ad un figlio:
1) La prima pronuncia è quella della Corte d’Appello di Genova del 10 novembre 2007, che ha affermato il seguente principio: «il nome “Venerdì”, dato ad un bambino dai genitori, è ridicolo, in quanto è quello di un giorno della settimana, evocante oltretutto la sfortuna, ed inoltre è proprio di un personaggio letterario caratterizzato da sudditanza e inferiorità e pertanto, atteso il divieto di nomi ridicoli o vergognosi, ne va disposta la rettifica».
2)La seconda riguarda un decreto del Tribunale di Catanzaro del 14 aprile 2009.
Il Tribunale calabrese si è trovato dinanzi al caso di una bambina nata in Francia nel 2004 da genitori italiani, chiamata “Andrea”, nome che in Francia ha valenza femminile, la cui nascita era stata trascritta in Italia, con la seguente indicazione: “sesso femminile essendo, tuttavia, il suddetto nome di valenza maschile”. Sulla base della segnalazione del Comune, la Procura ha presentato istanza di rettificazione del nome al Tribunale competente, ai sensi dell’art. 95 D.P.R. 396/2000.
Il Tribunale calabrese si è trovato dinanzi al caso di una bambina nata in Francia nel 2004 da genitori italiani, chiamata “Andrea”, nome che in Francia ha valenza femminile, la cui nascita era stata trascritta in Italia, con la seguente indicazione: “sesso femminile essendo, tuttavia, il suddetto nome di valenza maschile”. Sulla base della segnalazione del Comune, la Procura ha presentato istanza di rettificazione del nome al Tribunale competente, ai sensi dell’art. 95 D.P.R. 396/2000.
Nel decreto emanato, il Tribunale, riportando le disposizioni del D.P.R. 396/2000, ha ricordato che «il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso» (art. 35) ed «è vietato imporre al bambino nomi ridicoli o vergognosi» (art. 34).
Secondo il giudice, dal dettato di tali norme scaturisce il divieto di attribuire ad un nato di sesso femminile un nome che in Italia, secondo l’indice Istat, è proprio di un uomo. Il rischio, infatti, secondo la sentenza, è che l’identità della bambina potrebbe subire la derisione altrui.
Da ultimo, il Tribunale di Catanzaro ha inteso compiere una breve esegesi sulla legittimità della scelta del nome da parte dei genitori, intendendo essa non un diritto potestativo, bensì una mera potestà, la quale tuttavia è subordinata al rispetto di determinate condizioni: fermo restando il diritto al nome, infatti — previsto anche dall’art.7 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 — in primis, il nome identificativo non deve esporre il minore al ridicolo o alla vergogna; in secundis, il nome deve essere conforme al sesso del minore; tertium, il nome deve essere costitutivo dell’identità personale del minore.
Alla luce di tali considerazioni, il Tribunale di Catanzaro ha accolto l’istanza della Procura della Repubblica, intimando di anteporre al nome “Andrea” un nome riconosciuto in Italia come femminile.